E poi arrivò la finalissima: pareva un sogno, otto anni fa; e anche nell’ottobre del 2009, in quella malinconia avvolgente che s’avvertiva ovunque, in quella tristezza diffusa, in quel principio di rilassamento collettivo. Juventus-Napoli, chi l’avrebbe detto: tra sessantamila cuori egualmente divisi e il pathos d’una serata che sa di rivoluzione, la resurrezione dalla macerie del Fallimento, la B assieme alla «Vecchia Signora» e adesso l’ora e mezza per andare incontro alla gloria, magari lasciandosi trascinare da una «freccia azzurra» che s’è lasciato dietro i ricordi e che va a vivere la sua estate radiosa e ruggente: «Ora la finale di Coppa Italia, poi l’Europeo: due appuntamenti ricchi di emozioni, incredibili. Ma io vado per gradi: ora mi gioco questa partita e cerco di vincerla assieme ai miei compagni. Perché questo significherebbe dare ulteriore senso alla nostra stagione, a questo ciclo formidabile».
‘Na sera e Maggio non può che essere che la «sua» domenica, da consumare con il piede sull’acceleratore, avanti e indietro sulla corsia di destra, per cercare il varco giusto, per tentare di rimediare la scorciatoia che conduce sino al palco, là dove c’è la Coppa Italia. «Siamo stimolati al punto giusto, avvertiamo la resposabilità di chi sa di giocare un match decisivo per la felicità propria e della propria gente. Sono disposto a qualsiasi sacrificio, ma voglio vincere. E lo vogliono anche i miei compagni. Lo vogliamo perché sappiamo di essere all’incrocio con una data-simbolo: Napoli non può più aspettare per prendersi un trofeo, quante stagioni sono passate?».
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