È venuto a mancare ieri, all’età di 88 anni, Giulio Campanati, Presidente dell’AIA per 18 anni dal 1972 al 1990, arbitro con 166 partite in A e 18 partite dirette a livello internazionale. E’ stata predisposta la camera ardente presso IEO – l’Istituto Europeo Oncologia in Via Ripamonti 435 a Milano con orario lunedì 8.30-12.00 e 14.30-17.00 – martedì 8.30 -13.00. I funerali si svolgeranno mercoledì a Milano. Conservava, nel comodino accanto al letto, un vecchio orologio che lo riempiva d’orgoglio e aveva un valore particolare. Gli era stato regalato, al termine di un torneo juniores (il trofeo Scarioni), nel lontano 1948, da Giovanni Mauro, praticamente l’Associazione Italiana Arbitri che attraversa il tempo e le generazioni, i fuorigioco ed i rigori.
Lo ricordava ancora, qualche mese fa, Giulio Campanati, quell’orologio che tante partite, tante ore, tanti anni aveva segnato nella vita di quello che è riconosciuto come il Presidentissimo. Nessuno, come lui, è riuscito a rimanere al comando dell’Associazione per diciotto anni (dal 1972 al 1990), neanche il mitico Mauro. Nessuno, come lui, è riuscito a tenere l’ambiente arbitrale al passo con il mondo che cambia, a modernizzarlo, dalla vita sezionale (con i presidenti ai quali veniva affidato non più solo un compito associativo ma anche quello tecnico) ai vertici. Sotto la sua presidenza arrivarono le Commissioni Nazionali di disciplina, il procuratore arbitrale, il riconoscimento della responsabilità oggettiva nei casi di offese agli arbitri. Con lui, il numero delle sezioni raddoppiò, arrivando a superare quota duecento, mentre gli associati arrivarono fino a venticinquemila. Una vita per l’arbitraggio, una dedizione totale, fino a quando, nel 1966, ripose l’orologio nel cassetto, la moglie Giuliana lo reclamava per sè, abbandonò il campo (e Artemio Franchi lo chiamò per capire i motivi di un addio così anticipato) ma non l’amore per quella vita che gli era entrata nel sangue, che lo aveva portato a dirigere la finale della coppa delle Fiere nel 1962, due semifinali di coppa delle Coppe (1964 e 1966) e la doppia finale di coppa Italia del 1964, oltre ad essere designato per l’Olimpiade di Roma nel 1960.
Da dirigente arrivò prima a designatore della CAN (con lui esordì Casarin, con lui esplosero arbitri del calibro di Gonnella – che sarebbe stato il primo italiano a dirigere una finale del Mondiale, Argentina 1978 – Agnolin, Gussoni e Michelotti), poi a presidente del’AIA, diventando anche membro della commissione della Fifa e dell’Uefa. Dirigente attento e sempre presente, Michelotti ha ricordato, una volta, che dopo aver salutato Armando Picchi a Viareggio, durante il Torneo giovanile, la sera fu raggiunto da una telefonata proprio di Campanati: «Perché parlavi con Picchi?»: i rapporti arbitri-giocatori erano vietatissimi. Tanto tempo era passato da quella fine del 1940 quando, anche per tenerlo lontano dalla politica (i tempi di guerra erano vicini) il papà lo iscrisse alla sezione di Milano «Umberto Meazza» (e lui, impacciato, lo confondeva spesso con Giuseppe Meazza). Anche quando lasciò la presidenza, nel 1990, non abbandonò mai l’AIA. Gussoni ha spesso confidato come fosse stato proprio Campanati a convincerlo, nel 2006, a prendere la presidenza dell’Associazione del dopo-Calciopoli, un periodo difficilissimo.
La Redazione
P.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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