Una anno, una storia: ma da quel tunnel interminabile, che dal 25 ottobre 2010 lascia intravedere la luce al trecentosessantaseiesimo giorno, esce un uomo nuovo, ricostruito completamente. Il genio che si prende la notte e sopprime la sregolatezza è in quella magia che rimuove ogni ombra e riconsegna a Lavezzi la serenità smarrita; e la Napoli che delira per quel funambolo con le stimmate dello scugnizzo, resta in attesa per una standing ovation che sa di ennesima incoronazione:
«Sono contento, sono molto contento. Ritrovare il gol era una esigenza soprattutto per gli altri, non per me che dò anche agli assist un valore significativo: però lo so bene, sono un attaccante e mi tocca segnare. Anzi: mi tocca segnare di più».
CHE SHOW – Il «mostro» ch’è in lui, quel talento che sembra posseduto da un diavolo, è una libellula o un’aquila, ma quando il pallone cala dal cielo, nessuno oserebbe sospettare che si sia in prossimità per l’evento. E’ una parabola dolce e comunque perfida, una traiettoria invitante ma pericolosa, e il rischio – in circostanze del genere – è contemplato nelle casistiche: e invece, pum, la staffilata che va a sgretolare Handanovic è una perla di rara bellezza, una rarità assoluta per quel goleador part time che sa però come incantare la sua folla: «Ora posso dire di essere felice, perché sono riuscito a dare il mio contributo per una vittoria, perché abbiamo regalato una soddisfazione alla gente». Perché, in quell’anno sabbatico, non era servita la collezione di rifiniture per Hamsik o per Cavani; perché in quelle 366 giornate d’astinenza, la tranquillità collettiva – non certo la sua – era rimasta scossa: «Ma io, ormai lo sapete, so accontentarrmi anche di un bel passaggio smarcante. Però stavolta è andata bene e ora guardiamo avanti».
BATTUTA UNA GRANDE – Riecco Lavezzi ma riecco il Napoli: e quel silenzio collettivo scaturito da una abbuffata di soddisfazione che incredibilmente toglie la parola a chiunque è strapazzato dall’eco del pocho (e dal suo capolavoro balistico) e diviene l’analisi saggia d’un leader nato, la guida tecnico-spirituale d’un trascinatore impavido e reattivo. «La vittoria è importante ma questa lo è ancora di più, perché abbiamo battuto una grande squadra. L’Udinese ha sempre giocato bene, noi l’abbiamo costretta a non giocare. Ed abbiamo battuto la capolista, la squadra-sorpresa di quest’avvio di stagione. Abbiamo ritrovato il cinismo, capitalizzando almeno due opportunità; però molto abbiamo creato».
LA SFIDA CON HANDANOVIC – Dal 10 ottobre 2010 al 26 ottobre 2011, il Lavezzi che se ne va a spasso come per il San Paolo (e dintorni) raccogliendo il terzo posto e la Champions, è un mattatore scatenato che offre il miglior suo repertorio, però privo di acuti interni: e in quello stadio ch’è il suo tempio, la girata che rimette a posto i conti con il passato è una sciabolata utile per liberarsi di quell’Handanovic impressionante, il nemico della porta accanto che gli nega la doppietta in almeno un paio di circostanze. «Conta soprattutto vincere e siamo riusciti a farcela. E’ bello sia successo anche con un mio gol. Abbiamo dato una bella dimostrazione di forza, perché avevamo di fronte l’Udinese, non un’avversaria qualsiasi. Ed ora possono andarmene felice». Casa, dolce casa: l’attesa accresce il piacere.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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