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Lupescu: “Cavani e Hamsik sono i simboli del nuovo calcio”

L’analisi sul calcio italiano «Persi tanti campioni: adesso bisogna puntare sui giovani»

Ioan Lupescu, 43 anni, ex centrocampista romeno, è il riferimento tecnico dell’Uefa. Il presidente Michel Platini gli ha affidato il compito chief technical officer, ovvero di seguire il lavoro di allenatori e giocatori di 53 Paesi affinché vi possa essere un costante aggiornamento tattico.

Quali sono i compiti del chief technical officer?
«Ho la responsabilità dell’area tecnica, della formazione di base per il calcio e dei diversi programmi di scambio informazioni. Inoltre, siamo anche responsabili degli osservatori e degli istruttori tecnici che lavorano per l’Uefa e forniamo i rapporti tecnici per tutte le nostre competizioni, dei club e delle nazionali. Uno dei compiti principali è identificare le nuove tendenze e l’evoluzione tecnica del gioco».
Quali sono le novità più significative espresse da nazionali e club?
«Nello scorso settembre a Varsavia è stata organizzata una conferenza post Euro 2012 e vi hanno partecipato i rappresentanti dei 53 Paesi confederati, tra cui il ct italiano Prandelli e il vicepresidente federale Albertini. Una delle più grandi sorprese degli Europei è stata l’Italia e il parere è condiviso da tutte le associazioni. Qualcosa è cambiato nella mentalità italiana, il modo in cui la squadra di Prandelli ha giocato ad Euro 2012 non è usuale nella storia del vostro calcio. L’Italia è stata attiva e offensiva e non ha semplicemente espresso un gioco reattivo come in passato, applicando vari schemi, dal 3-5-2 al 4-4-2».
Quanto è importante la scuola degli allenatori italiani, che raccolgono successi in tutto il mondo?
«I tecnici sono di prima categoria. Ci sono stati Trapattoni, Capello e Sacchi, che alla fine degli anni ’80 ha cambiato molto la percezione del calcio con il Milan, introducendo il pressing costante. E poi Lippi, vero allenatore di successo sia con i club che con la Nazionale. Infine, Prandelli, che ha fatto un ottimo lavoro con la Fiorentina e lo sta confermando con gli azzurri».
Ma il calcio italiano ha perso alcune stelle nella scorsa estate, da Ibrahimovic a Lavezzi.
«Ci sono stati alcuni buoni giocatori che hanno lasciato il campionato, ma il livello della serie A è ancora uno dei migliori al mondo. Ciò è confermato dal rilancio della Juve negli ultimi anni o dall’Inter che sta risalendo con giocatori giovani e un nuovo allenatore. In questi ultimi tre anni, infine, il Napoli ha mostrato un costante alto livello di gioco».
In queste stagioni il Napoli di Mazzarri ha sempre mantenuto un’identità tattica, cambiando pochi giocatori e praticando il 3-4-1-2.
«Mazzarri conosce bene i suoi giocatori. Inutile dire se il sistema sia buono o meno, piuttosto bisogna pensare ai successi che consente di ottenere e sapere che dipende dai giocatori a disposizione del tecnico. La qualità del tecnico è misurata, attraverso i risultati, dal presidente e dai tifosi. Negli ultimi tre anni il Napoli ha fatto un enorme passo in avanti e ora è una delle migliori squadre in Italia, arrivata nella scorsa stagione alla fase ad eliminazione della Champions League, dove è stata sconfitta dal Chelsea. Penso che i napoletani dovrebbero essere orgogliosi del modo in cui la loro squadra gioca e dovrebbe esserlo anche tutta l’Italia».
Lei conosce Mazzarri?
«Non personalmente. Ha fatto un ottimo lavoro negli ultimi tre anni. Ha giocatori fantastici come Hamsik e Cavani. Ho avuto l’opportunità di vedere entrambi dal vivo e in tv: Hamsik e Cavani hanno grande personalità, riescono ad essere protagonisti nel Napoli e nelle loro nazionali. Hamsik è ancora molto giovane ed è già il giocatore di riferimento per la Slovacchia: è straordinario, considerando la sua età».
Qual è il modulo di tendenza del calcio europeo?
«Ritengo che il sistema non sia così importante e credo che ogni allenatore lo scelga in base ai giocatori a disposizione: forse vorrebbe adoperare il 4-4-2, ma non ha gli uomini adatti e si affida al 3-5-2. Se si vuole giocare come il Barcellona e non si hanno i calciatori, è inutile provarci. Il modulo è la seconda priorità, direi. Non c’è un modulo con lati positivi o negativi: quello che conta per i tifosi è vedere un calcio offensivo e sarebbe bello se ogni squadra tentasse di giocare come l’Italia di Prandelli agli Europei».
Perché in Italia i grandi club non puntano sui giovani, a parte qualche rara eccezione, come il Milan che si è affidato a El Shaarawy?
«È probabile che ciò abbia a che fare con la politica di portare grandi giocatori in Italia. È sempre stato così: ricordo che negli anni ’80, quando erano ammessi due o tre stranieri, i club ingaggiavano solo importanti calciatori. Un ottimo esempio da seguire, anche per l’Italia, sarebbe quello della Germania, che ha una delle nazionali più giovani. Nel 2009 i tedeschi hanno vinto tutto a livello giovanile con Under 17, Under 19 e Under 21 e adesso la maggior parte di quei giocatori fa parte della prima nazionale. Dopo gli Europei 2000, andati male per la Germania, è cominciata la ricostruzione nei centri di formazione con notevoli investimenti: i risultati sono arrivati in pochi anni».
Come e dove va migliorato il calcio?
«Tanto può essere ancora migliorato, ma in gran parte dipende dalle idee dell’allenatore: penso a quanto riuscì a fare Sacchi negli anni ’90 e a Guardiola, che negli ultimi quattro anni ha adottato per il Barcellona uno stile molto differente, con più possesso palla e molto pressing quando la squadra perde il pallone. Si è ammirato qualcosa di nuovo, mai visto prima».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

P.S.

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