Una domenica di tenera primavera, come questa. Torino, stadio Comunale. Altafini, “core ‘ngrato”, decide all’ultimo minuto i destini di due squadre: segna il gol del 2-1. Cinque gare alla fine, addio scudetto, finirà così: Juve prima, Napoli secondo, 45 e 43 punti. Ma quella partita forse non è mai finita. Non sono bastati 37 anni per dimenticarla. Se ne gioca un’altra, domenica. Vinicio, come la immagina? «Il Napoli ha un attacco molto più forte. La Juve ha uno stadio che può creare suggestioni. L’allenatore Conte è un ragazzo che lavora bene, non mi ripeta la domanda, non so dirle se somiglia a me, perché dà grinta, carattere e bel gioco. Non è mai possibile confrontare il calcio di epoche diverse. Mazzarri fa uno stupendo lavoro, lo seguo, mi piace». Vinicio nel ‘74 è stato il profeta italiano del calcio totale. Prima difesa a zona. Bruciava la disfatta ai mondiali tedeschi, con Radice e Trapattoni, come e più di loro, aprì un’era nel depresso calcio italiano. Riprende, ha ancora tanta rabbia, è un groviglio di rughe la sua faccia scura di sole. «La Juve era felice dell’1-1, in tribuna contavano i minuti, il Napoli dominava, Zoff ancora non sa come riuscì a deviare quel tiro di Juliano». Juliano aveva già segnato, sfiorò il secondo. Gli fa onore anche quella frase sempre attuale, cominciava la spedizione, 40 mila a Torino, treni speciali e un ponte aereo: «Lasciamo a casa Pulcinella ». Chiese ai tifosi civiltà di contegno. Il capitano fu ascoltato. Vinicio ha scelto Napoli per vivere. Via Manzoni, in collina. Dall’ultimo piano guarda il mare ma anche il grigio disadorno di Fuorigrotta, al centro lo stadio dei suoi trionfi. Segue tutto, ma evita di esporsi. Coerenza. Era l’immagine del coraggio senza calcolo, della forza senza violenza, della bellezza senza vanità. Un passato immenso non si spreca. Ha spento i fari intorno a sé, 4 nipoti, due figli, Mario a Napoli console onorario del Brasile, Marco manager di una società a Milano. Il Napoli è la sua squadra, e si capisce: «Mi piace, ma ne parlo poco, niente tv». Gli piace Cavani, gli ricorda forse i suoi gol. «Abbiamo struttura fisica diversa. Ha intorno una squadra più forte della mia. E la mia stessa voglia di vincere. Crede nel gol fino in fondo. Ma è più mobile. Più moderno». Domanda: è il Vinicio del 2010? «Un grande giocatore. Ha tecnica, velocità e adoro quella sua voglia di vincere». La stessa di Vinicio, arrivato a Napoli per caso. Era commosso in prima fila al Posillipo ieri, mentre Franco Esposito presentava il suo bel libro “Testa alta, due piedi”, una storia in diretta del calciomercato, personaggi e retroscena di oltre mezzo secolo. Vinicio fu un colpo di genio del Comandante Lauro. Sa che in Italia sarebbero arrivati due attaccanti brasiliani dal Botafogo: Vinicio alla Lazio, Da Costa alla Roma. Chiede al conte Vaselli di ritirarsi dall’affare. «Tempo di elezioni, fu un acquisto da trecentomila voti». In una notte piazza Municipio fu rifatta da Vaselli: giù alberi secolari, non furono toccati Il Maschio Angioini, il Comune, l’edificio di Pizzicato e l’hotel de Londres. Un affare per il Napoli: il migliore della storia, costò poco e sarebbe entrato nel cuore di una città, protagonista da bomber e allenatore, due splendide stagioni di una stessa carriera. Stasera a Pratella, nella sede di “Lete” sponsor del Napoli, Nicola Arnone riunisce intorno a Vinicio giornalisti e amici di una vita, Vinicio ne ha davvero tanti. L’ex studente in architettura di Belo Horizonte, capitale del Minas Gerais, stato a sud-est, tra miniere, altipiani e Rio Grande, torna due volte l’anno in Brasile. Ha casa a Rio. Ma la sua saudade lo riporta subito a Napoli, nella casa che guarda lo stadio.
Fonte: La Repubblica
La Redazione
P.S.
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