Era partito dalla Svizzera, percorrendo a ritroso la strada che i suoi genitori avevano battuto negli anni Sessanta. Dall’Abruzzo a Schaffausen, in cerca di lavoro. Di Matteo comincia con la squadra della città, e nel ’93 vince il campionato svizzero con l’Aarau, una sorpresa. Alla Lazio arriva la segnalazione, e Di Matteo approda alla corte di Cragnotti, prima con Zoff e poi con Zeman. «Io incontrai Roberto nel mio primo giorno alla Lazio, facemmo insieme le visite mediche al centro sportivo di Acquacetosa. Lui veniva dalla Svizzera, io da Torino: faceva caldo quel giorno di luglio del 1993, era un tipo particolare, però facemmo subito amicizia. Mi sembrò spaesato ma non troppo fra telecamere e taccuini, mentre si guardava e si riguardava la tuta appena indossata della Lazio. Mi confessò, poi, che avrebbe fatto qualsiasi lavoro pur di tornare in Italia». Luca Marchegiani racconta Di Matteo, tre anni vissuti insieme alla corte di Cragnotti, all’alba della grande Lazio che poi alla fine degli anni ’90 avrebbe vinto il suo scudetto. «Ma Roberto andò via prima e si perse il periodo d’oro di quella squadra».
Insieme alla Lazio, ma anche in Nazionale?
«Sì, ma con storie diverse, quasi sempre a incrociarsi: io con Sacchi sono andato ai Mondiali degli Stati Uniti. Lui non venne, ma all’inizio della seconda stagione italiana arrivò la chiamata del ct. Io nel frattempo avevo già chiuso la mia esperienza».
E Zeman si infuriò a morte per questo. Ricorda?
«Sì, non riusciva a pensare che il suo portiere non trovasse posto nella Nazionale. Però nello stesso tempo era felice per Di Matteo, uno dei tanti giocatori che ha beneficiato dei consigli e del lavoro del tecnico boemo».
Ci resta 4 anni nel giro dell’Italia, poi Maldini nel mondiale del 1998 gli preferì Di Biagio.
«Nel frattempo lui aveva fatto una cosa da ragazzo intelligente e curioso quale era: aveva preso le valigie ed era andato in Inghilterra, al Chelsea. Non era una cosa facile lasciare la serie A a quei tempi».
Torniamo a quella Lazio: a centrocampo ci sono Winter e Gascoigne. Davanti Signori, Boksic e Casiraghi.
«Il primo anno finiamo al quarto posto, a sei punti dal Milan campione. Lui all’iniziò fece un po’ fatica ad adattarsi: in Svizzera giocava da libero, Zoff lo voleva centrocampista centrale. Fu la sua fortuna. Tatticamente era un talento, assai intelligente e molto duttile. Non mi sorprende che abbia fatto l’allenatore».
Ammetta, però, che vederlo sulla panchina del Chelsea le fa un po’ d’effetto?
«È vero, non ha fatto una grande gavetta e comunque si ritrova sulla panchina di una delle squadre più forti d’Inghilterra un po’ per caso: in fondo faceva parte dello staff dell’allenatore esonerato. La sua è stata una promozione sul campo, forse inattesa».
Secondo lei si sente un allenatore a tempo determinato?
«Secondo me, avendo giocato con lui tre anni, si sente come uno che ha un’occasione d’oro tra le mani e vuole sfruttarla al massimo. Sa bene che se passa il turno di Champions, ribaltando il 3-1 dell’andata con il Napoli, avrà fatto un gran passo in avanti».
Per prima cosa si è affidato alla vecchia guardia?
«È stata una furbata. Lui non ha una grande esperienza da allenatore ma conosce bene l’ambiente del Chelsea. Sa bene che Villas-Boas aveva rotto soprattutto con gli anziani del gruppo. Lui ha recuperato i rapporti con i veterani e ha mandato un segnale di amicizia. Succede…».
A lei sarebbe piaciuto averlo come tecnico?
«Perché no? Le sue doti morali erano notevoli. L’ho perso di vista, non ci vediamo da tempo ma difficile che certe qualità si perdano per strada».
Quale il suo pregio principale?
«La determinazione. Ricordo che a quei tempi tutti gli consigliavano di prendere il passaporto elvetico per fare come Scifo, ovvero giocare con la Svizzera. Lui invece, da emigrante orgoglioso, voleva sì giocare in nazionale ma con quella italiana. Ci riuscì e ne fu felicissimo».
Poi con Zeman i rapporti si complicarono parecchio.
«Però la Lazio fece un bell’affare a cederlo al Chelsea. Guadagnò parecchi soldi. Peccato per lui che si sia perso il periodo migliore in biancoceleste».
Le piace il Chelsea di Di Matteo?
«La verità? Mica tanto. Ha battuto in Coppa una formazione di serie B e sabato ha faticato contro una squadra in 10 uomini. Insomma, non mi pare che sia arrivata questa svolta.
Insomma, il Napoli è favorito?
«Favoritissimo, anche se il 3-1 dell’andata non è che sia un risultato straordinario. L’importante per gli azzurri sarà di non perdere la testa nei momenti difficile della gara. Momenti che di sicuro arriveranno».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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