L’unica, vera «stecca» è in quelle (malsane) abitudini a cui ognuno dà il proprio personalissimo contributo in materia di calcio mercato: e così va a finire che Goran Pandev, eletto a ragione quarto tenore del Napoli dell’anno scorso (che poi vuol dire del 20 maggio 2012, dunque dell’altro ieri, più o meno), finisca per ritrovarsi già infilato in un cono d’ombra, avvolto in un velo di normalità assoluta laddove invece va registrata l’eccezionalità della riconferma d’una «stellina» alla portata di pochi, dei grandi club, altrimenti dei sognatori. Goran Pandev porta in dote i trionfi del triplete interista, ha nel proprio curriculum vitae la stima di José Mourinho, viene ritenuto attaccante di prima fascia, è un pupillo di Mazzarri ed offre ai tecnici – dunque al club di appartenenza – la possibilità di utilizzarne le caratteristiche in varie e disparati moduli tattici. Secondo il gergo in uso corrente da sempre, Pandev va considerato un colpo, per i requisiti riconosciutigli. La prima mossa del Napoli, nel contesto di un’estate ancora tutta da vivere, è stato l’acquisto del macedone, arrivato l’anno scorso in prestito e adesso prossimo alla vestizione da principe azzurro, dopo definizione degli accordi già virtualmente trovati: De Laurentiis e Moratti non hanno bisogno che della modulistica federale per concludere un trasferimento sancito da una telefonata tra gentiluomini. Il calcio è un’azienda atipica, afflitta da bulimia, divoratrice di novità ed il «vecchio» che avanza con il suo carico d’esperienza ed il suo background si ritrova confinato – suo malgrado – nelle retrovie dei pensieri correnti. Sarà un caso, e non lo è, i progetti si sviluppano ragionando con la testa e non con la pancia e attribuendo al bagaglio professionale, quindi alle capacità degli interpreti, rilevanza centrale, quella che la storia Pandev ha ricevuto, essendo stata ritenuta utile per essere il punto di (ri)partenza del progetto.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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