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Lo sfogo di Behrami: “Questo Napoli doveva lottare per lo scudetto. Inler, che delusione”

Lui, lui e l’altro: il «triangolo» fatale, a modo suo un po’ scabroso, è una storia d’amicizia finita male, un menage – calcistico ma anche umano – a tre che s’è rotto, ora ufficialmente, e che chissà se e quanto è ricomponibile. Lui è Valon Behrami, che si confessa come se fosse accomodato sul lettino dello psicanalista ed ammette che con Inler, il partner del centrocampo del Napoli e della Nazionale svizzera, nulla è come prima: per colpa «dell’altro», che nella circostanza è Dino Lamberti, manager di Inler, colpevole d’aver ammesso qualche settimana fa in una intervista radiofonica di ritenere il proprio assistito, quando veste d’azzurro, combinato meglio (tatticamente) con Jorginho, la new entry d’un centrocampo che ha smesso d’essere d’esclusiva competenza svizzera. E’ una vicenda di diagonali di passaggio, di coperture, di partenze e geometrie che va a scovare nell’anima di Behrami e scopre che, perché le parole (stalvolta) son come pietre, c’è il fuoco a covar sotto le ceneri d’una lunghissima stagione.

Rottura. Il buongiorno, per modo di dire, si scopre da «El Matin», al quale Behrami decide di rivelare se stesso, il proprio stato d’animo e una realtà ches’era percepita ma che pareva anche un po’ romanzata. E invece quella non è per niente una leggenda metropolitana. «Io do tutto per i miei amici, che metto sempre nelle condizioni migliori. Le parole dell’agente di Inler mi fecero male e Gokhan mi deluse per non aver replicato. Io se il mio procuratore dice qualcosa di stupido, sono abbastanza grande per reagire. Mi sarei aspettato che il mio compagno di squadra mostrasse, in quel momento, la personalità per intervenire. Problemi non ne creo, ma ora le cose tra di noi non sono più come prima e questa vicenda ha modificato il rapporto tra di noi».

Scudetto. Però c’è dell’altro, che gironzola nella testa di Behrami: ed è l’analisi personale su un campionato chiuso troppo presto, consegnato alla Juventus ed alla Roma e osservato a distanza ragguardevole dal vertice d’una classifica alla quale il mediano strizzava l’occhio. «Avevamo la squadra per poter competere e lottare per lo scudetto. Tutti se l’aspettavano e noi stessi lo sappiamo. E i tifosi sono un po’ delusi. Ci resta la finale di coppa Italia per migliorare la stagione ma per il tecnico e la squadra l’anno prossimo ci sarà grande pressione». Ops, per l’allenatore e per la squadra: sa quasi di presa di distanza dal futuro, sa di separazione quasi fisica tra sé ed una situazione che pare non riguardare il soggetto deputato ad interpretare le sensazioni del futuro.

Il piede. «Ho qualche difficoltà, devo essere gestito. Non mi sento veramente bene, una settimana va, l’altra no. Ho spinto nel 2013 ed ho avuto queste lesioni. Ho dato più del 100% in condizioni in cui normalmente non avrei giocato. Benitez, lo staff ed i miei compagni se dico che non posso giocare capiscono».

Gerarchie. E poi c’è il passato o anche il presente, c’è quel Napoli (a centrocampo) alla svizzera che ha una sua singolarità, che ha indubbiamente gerarchie (com’è giusto che sia) sottolineate dal minutaggio e della scelte dell’allenatore, alle quali Behrami dà una lettura assai personale, poc’incline – anzi per niente – alla polemica o ad una intepretazione capziosa. «Io non vedo gerarchie, perché per Benitez siamo tutti sullo stesso livello. C’è una differenza sostanziale ma quella riguarda le caratteristiche di ognuno di noi: io tendo a recuperare palloni; Blerim ha una vocazione più offensiva mentre Inler ha maggior capacità di gestione del pallone. Tutto qua. Poi è chiaro che le scelte toccano sempre all’allenatore». Ed è chiarissimo molt’altro ancora: che tra Behrami e Inler, al di fuori del cerchio del centrocampo, c’è il vuoto.

Fonte: Corriere dello Sport
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