«Qualcosa s’è inceppato nella testa dei ragazzi. Se non sbaglio, è il messaggio che ha fatto trapelare all’esterno anche l’allenatore». Di questi tempi ci può stare bene anche una sosta sul lettino dello psicologo. Il Napoli bloccato mentalmente, prigioniero delle proprie angosce, non ha più l’espressione divertita e sbarazzina di un mese fa. Ora è triste e ha paura di sé stesso. Il professor Luigi de Maio, già consulente del club, consiglia un breve percorso psicoterapeutico.
Mica la fiducia può venir meno all’improvviso? «Manca il concetto di gruppo che rappresentava la base dello scorso anno. Adesso ci sono le solitudini, non i corporativismi».
Veramente i calciatori non fanno che esaltare la loro compattezza. «Si sbagliano passaggi facili, non ci sono più estro e gioia, tutti sono dubbiosi».
Cosa c’entra il paragone con la passata stagione? «Semplice. C’era Higuain che dava sicurezza a tutti».
No basta. Dobbiamo fare i conti con il Pipita pure su questo? «Purtroppo sì. Gonzalo s’inventava sempre il numero giusto, era un punto di riferimento per tutti, quasi uno scarico di responsabilità. E lui ricambiava la fiducia regalando certezze. Oggi queste certezze sono svanite, in campo non c’è il leader carismatico che dice: date la palla a me, ci penso io».
Quindi si sta pagando l’assenza di chi butta la palla dentro? «Più o meno. Facciamo un esempio di tipo sessuale». Benissimo. Prego. «Il gol è come un orgasmo. Quando manca il mezzo principale per arrivarci, nel nostro caso prima era Higuain, allora tutti devono inventarsi qualcosa di magico che oggi non esiste».
Come si reagisce a queste negatività? «Bisogna lavorare sul gruppo in maniera diversa. In fase di difficoltà diventa fondamentale parlare nello spogliatoio e liberarsi delle cose nascoste. Noto troppa ansia nelle giocate, pure le più elementari, da qui vengono fuori gli errori clamorosi. Ognuno vuol prendersi le responsabilità e caricarsi il gruppo sulle spalle, ma se non sei abituato diventa tosta». Intervista sull’edizione odierna de Il Mattino.
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