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L’Italia a Rizziconi, sfida alla’ndrangheta

Una giornata particolare, tinta di azzurro. Oggi attorno al campetto di Rizziconi e ai 22 giocatori di Cesare Prandelli ci saranno Don Ciotti, il vescovo, il prefetto, il commissario della giunta comunale, presidenti di Regione e autorità locali, e anche Rino Gattuso. Ma ci saranno soprattutto centinaia di giovani del piccolo comune in provincia di Reggio Calabria. E ci sarà anche, forte e commovente, il ricordo di Dodò Gabrielli, il bambino di 11 anni ucciso a Crotone due anni fa, mentre giocava a pallone, da un proiettile di ‘ndrangheta destinato ad altri.

 «Una cosa normale, in un paese civile»,

spiega il ct Cesare Prandelli che guiderà la Nazionale ad allenarsi sul campetto di Rizziconi, provincia di Reggio Calabria, su un terreno sequestrato alla ‘ndrangheta.

«Si dirà che è solo una toccata e fuga, ma sincera. Vogliamo aiutare quella gente contro la mafia, che è qualcosa che ti priva della libertà di fare quel che vuoi. In posti del genere, sono i giovani a subire il condizionamento, il nostro messaggio è per loro».

Non c’è dubbio che in Calabria la partita sia ancora in mano alla ‘ndrangheta. Oggi però la squadra del Bene schiera la Nazionale, e chissà che non si registri il primo successo concreto dell’era Prandelli. A Rizziconi, nella piana di Gioia Tauro, in un Comune ad altissima densità mafiosa e attualmente commissariato, gli azzurri si alleneranno su un campo di calcio confiscato alle cosche e finalmente – grazie all’opera dell’associazione Libera di don Ciotti – consegnato ai ragazzi.

«Sarà un’operazione simbolica, certo – dice Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, membro della Direzione distrettuale antimafia e soprattutto indiscusso numero 1 nella lotta alla ‘ndrangheta – ma sapeste che valore possono avere certi segnali. Il calcio è un grande veicolo contro le mafie, come pure la musica: insegnare ai ragazzi a suonare uno strumento è educativo. Stessa cosa per il pallone: dovere imparare a tirare in porta, a fare gol o a difendere li impegna e li allontana dalla prospettiva di diventare garzoni di ‘ndrangheta».

Sì, tutto vero: ma la Nazionale sbarca a Rizziconi, fa il suo show e riparte. Cosa resta dopo?

«Intanto tre ore sono meglio di niente, e comunque rimane il ricordo: che aiuta a credere di potercela fare».

La Redazione

A.S.

Fonte: Il Mattino

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