Più di un grande tecnico, assai di più. Marcello Lippi s’è costruito, con il lavoro e i risultati, un’immagine dell’altro mondo. Bella e importante oltre persino il titolo di campione del mondo targato Italia. Ormai insegna calcio, per dirla alla Papa Francesco, alla fine del mondo. Siamo nella lontana Cina, la crisi economica italiana, europea, globale, lì non si sa neanche cosa sia. Anzi ne ha sentito parlare. Punto. La sensazione del vostro cronista è quella di parlare a un extraterrestre. Ha vinto tutto qui nel Belpaese, sta vincendo tutto lì (per ora col suo Guangzhou s’è preso scudetto e coppa di Cina), che sorpresa c’è? Per affrontare il discorso del nostro calcio preso a pallate in Europa – con l’uscita della Lazio dall’Europa League completo addio alle coppe, dove una volta, fino a poco fa, la facevamo da padroni o quasi – sentire la voce di un maestro, se non Il Maestro, può tornarci utile. Basta ascoltarlo. Ci risponde nella tarda sera cinese. Qui è il primo pomeriggio. Abbiamo ancora nella testa la sua ex Juve umiliata nello scontro di Champions col Bayern, e le batoste delle nostre big, big solo tra le mura di casa. Lui mette subito in chiaro che, per carità, segue e vede tutto, ma che almeno ora che ha il “cuore calcistico” in pace, preferisce viversela tranquillo, sereno. «Sto quaggiù e il momento per l’esilio è perfetto, no? Mi capisci…».
Il tracollo definitivo dell’Italia del pallone non ha una sola causa. È anzi, coacervo di situazioni. Non siamo più capaci di reggere il confronto di mercato. Il prodotto calcio ribassato in qualità e quantità, in una parola non si vende. Né alle tv, né all’industria legata al pallone, né alla gente…
«In Italia, più ancora che in Europa, la crisi si sente, ora il football è in seconda fascia, tecnicamente quasi in terza. Ma basta piangerci addosso, reagiamo: la storia, la cultura, la tradizione sono e restano sempre con noi. Una luce in fondo al tunnel, seppure fioca, la vedo».
In che modo?
«Alimentandola, soprattutto non facciamola spegnere. È fatta di giovani, di un vivaio che vivaddio, funziona e produce talenti, gente “nostra”, non abbiamo più bisogno di svenarci per andare a prenderci “gli Ibrahimovic”; con un po’ di buon senso e saggezza la crisi può e deve diventare un trampolino per toglierci dai guai».
Chi sono i giovani che possono cambiare l’Italia calcistica?
«Penso a Verratti, a Insigne, a De Sciglio, tanto per fare i primi nomi che mi vengono in mente. Ecco, aggrappiamoci alle mamme d’Italia, ai loro “prodotti” che mai come in questo momento sono ‘bellissimi’ e promettono gloria».
Il Napoli resta una ipotesi lontana?
«No, ma che Napoli, qui sto benone, però…».
Fonte: Il Roma
La Redazione
M.V.
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