Il nuovo libro di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo, Football clan (Rizzoli) comincia con una sorta di dichiarazione di intenti: «Io non guardo al calcio come uno spettatore disinteressato o con l’atteggiamento di un entomologo che seziona gli insetti. Il calcio è stato un ingrediente fondamentale della mia vita: in tutti i ricordi piu intensi della mia fanciullezza (scuola, vacanze, gite, visite a parenti e amici) c’e sempre una partita di pallone. Ancora oggi, dopo quarant’anni, quando incontro per strada i miei compagni delle elementari, la prima cosa di cui parliamo sono le partite che disputavamo sul terrazzo dell’Istituto Santa Giovanna Antida di Giugliano, il paese alle porte di Napoli dove sono cresciuto e vivo tuttora». La dichiarazione è opportuna. Individua con precisione il tema del libro: il calcio è un bene comune. Del resto, possiamo fare un esperimento empirico, chiedere a un adulto in quale momento è stato felice e, possiamo scommetterci, le risposte, in alta percentuale, riguarderanno una partita di pallone, di quelle disputate da ragazzini, su una spiaggia o un campetto improvvisato: la gioia del gol o quella sorta di abbandono estatico che si prova a partita terminata, a terra, sdraiati sull’erba, gli occhi al cielo.
Questa particolare condizione di felicità sportiva, d’altra parte, non è tipicamente italiana, anzi è diffusa in molte parti del globo, ci si può spingere a dire che i suddetti sono sentimenti di felicità universali. Se il calcio è un bene comune globale anche i gesti dei calciatori lo sono. Nel corso del rapimento della giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, Francesco Totti indossò una maglia con su scritto «liberate Giuliana». Raccontò poi la Sgrena che uno dei suoi carcerieri le confessò sia il suo tifo per la Roma ma di essere rimasto molto colpito dal gesto di Totti. Quindi non solo il calcio provoca diffuse ed elementari sensazioni di felicità, ma riesce a comunicare con mondi molto distanti. Insomma il calcio ha un grande potere, ma a grande potere dovrebbero corrispondere grandi responsabilità. Purtroppo sappiamo che: proprio in ragione di questo potere, il bene comune calcio è sotto attacco da parte delle criminalità organizzate, e soprattutto il mondo del calcio non sempre si è mostrato così responsabile da porre un serio argine alle infilatrazioni. Sono in fondo informazioni sulla bocca di tutti. Purtroppo da anni, e con modalità sempre diverse, questo attacco ha raggiunto preoccupanti punte di efficienza.
Ora, il giudice Cantone e Di Feo invece di concentrarsi su una singola inchiesta, con tutti i risvolti tecnici, scelgono un registro diverso: scrivono un ottimo riassunto. Ovvero una parte della recente storia d’Italia vista, però, attraverso la (sempre) crescente collusione tra società sportive e camorre varie. Dagli scandali degli anni ’80 fino a quelli attuali. Ne viene fuori un bel libro divulgativo, affabile nel tono, e preciso nella ricostruzione. A partire dal 1978, anno dei mondiali Argentini (trasmessi a colori dalla Rai) l’Italia è cambiata e di conseguenza, il calcio si è modernizzato. Non ci sarebbe niente di male, tuttavia le camorre, spesso indisturbate, hanno saputo prevedere l’affare e gestirlo con furbizia. Da Maradona che diventa testimonial e dunque accredita il potere dei fratelli Giuliano – con le sue frequentazioni e le famose foto nella vasca da bagno a forma di conchiglia – al tentativo di conquista della società Roma da parte di assurdi faccendieri, alla probabile esistenza di un «codice Milan» – la squadra del Milan era l’argomento privilegiato di Riina, tanto che i magistrati arrivano a sospettare, appunto, l’esistenza di un codice attraverso il quale i boss comunicano ordini di varia natura.
Sono poi molto interessanti – dei veri ritratti narrativi – le pagine che raccontano l’Italia di serie B, quella di provincia. Piccoli club con la sacrosanta voglia di emergere costantemente seguiti dalla camorra o guidati da loschi figuri. E sono inquietanti le pagine che ci mostrano la globalizzazione delle mafie attraverso il sistema calcio. Se dovessi indicare un pubblico per questo libro non avrei dubbi, sceglierei la variopinta platea di studenti e studentesse, di ogni ordine e grado, a partire dalle elementari. Credo che Football clan sia stato scritto anche per loro, affinché abbiano sotto mano una bussola orientativa, una sorta di manuale del pronto soccorso grazie al quale i ragazzi possano imparare a decifrare presto i segnali di pericolo, ovvero l’inquinamento del bene (comune) calcistico a scopo di privatissimo lucro da parte di pochi.
Infine, questo è un libro fisiologico, non patologico e nemmeno moralista, ci mostra come funziona il sistema e come le varie mafie cerchino e spesso riescano a inserirsi nella struttura. Gli autori dedicano l’ultima parte del libro ai rimedi perché nulla è per sempre patologico. I rimedi ci sono, basta applicarsi e collaborare – a calcio globale corrispondono regole globali. Le soluzioni non sono né lontane né impossibili, tutt’altro sono vicine, praticabili e quotidiane. Basta saperlo. Del resto sapere significa volere e conoscere vuol dire anche saper prevedere.
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro