Ma poi si gioca e non c’è più tempo per lasciarsi andare per restar sospeso tra i ricordi che, passeggiando tra Bergamo alta e Bergamo bassa, riconducono alla Napoli “alta” e alla Napoli “bassa”, a quelle dimensioni così distanti eppure così vicine attraversate in due epoche diverse: palla lunga, lontana, lontanissima, all’estate dell’87 e dello scudetto e poi di corsa fino al 2004, il calcio scalato dalla cantina. E’ Atalanta-Napoli e la memoria s’infarcisce di crocevia nei quali Pierpaolo Marino va a cercar le date giuste d’un percorso romantico che non ha scadenze ma soltanto emozioni: perché stasera, che sera.
Che effetto fa, Marino?
«Una sensazione ovviamente stranissima, quella scatenata da ogni gara vissuta da ex contro il Napoli. Per me non è una partita come le altre e non può esserlo, perché io a Napoli ho vissuto stagioni straordinarie: ho vinto campionati di serie C, di serie B e di serie A e pure una coppa Italia, stabilendo un primato di cui vado fiero. C’è una gran parte della mia storia personale che scende in campo in questo match e che quindi incide».
Sette anni in ere lontane: scelga gli acquisti di cui va fiero.
«Romano nell’86: scovato in serie B, sconosciuto al grande calcio, e decisivo nella conquista dello scudetto. E invece, nel Terzo Millennio, ovviamente Hamsik e Lavezzi: quando presi Marek mi sbilanciai e azzardai che sarebbe diventato da pallone d’oro. Ci arriverà. Ragazzo di enormi qualità».
Napoli senza Cavani, sarà più abbordabile?
«E perché Pandev e Insigne sarebbero scarsi? Mazzarri ha un organico di qualità, che fa paura lo stesso, nonostante manchi un attaccante del livello dell’uruguayano: domenica sera Cavani non c’era, ma il Chievo è stato battuto egualmente. I problemi li abbiamo soprattutto noi: ci manca mezzo centrocampo, conviviamo con l’emergenza».
Lo scudetto è un affare bianconeroazzurro?
«Il Napoli c’è e può giocarselo. Se a febbraio sarà ancora in cima, avrà molte chanches. E comunque molto dipenderà anche dal destino della Juventus in Champions. Se dovesse andare avanti, e glielo auguro, il rischio d’un calo atletico è nelle statistiche».
Il calcio italiano s’è ammalato da un bel po’…
«Vecchi discorsi che ciclicamente tornano. La sudditanza riemerge adesso, ma c’era pure prima. Ne ho perse di partite con l’Avellino. Ora semmai il problema è economico. Il Milan ha dovuto rinnovare e poi ha pagato anche un avvio lento. La differenza la fanno le idee: il Napoli è lì perché, otto anni fa, venne introdotto un progetto; l’Atalanta l’anno scorso ha fatto il record di punti. Io stasera ho in campo i miei affetti: il passato, la squadra che mio padre mi portò a vedere da bambino, e il mio presente e il mio futuro, un club nel quale si sta di lusso, perché la famiglia Percassi è di grosso spessore umano e imprenditoriale».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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