Sembra di vederlo. Con la faccia da «gringo», il soprannome che si guadagnò per essere il pistolero del gol, gesso alla caviglia per una fresca operazione dovuta all’artrosi, con il telecomando in una mano ed un cappuccino nell’altra mentre guarda il campionato italiano all’ora del tè nella sua casa di Araraquara, 200mila abitanti nello stato di San Paolo. Sergio Clerici è stato l’ultimo giocatore straniero a militare nel campionato italiano dopo la chiusura delle frontiere del 1966 e prima della riapertura del 1980. È inoltre il calciatore straniero ad aver militato in più formazioni in Serie A, ben 7. Da Lecco (1960) dove lo consideravano un eroe, alla Lazio passando per Bologna, Verona, Atalanta, Fiorentina e Napoli dove giocò due stagioni segnando 29 reti in 57 gare. Una pesantissima: a Oporto, nel ritorno dei sedicesimi di finale di Coppa Uefa. Ricorda quel gol? «Certo che sì. Fu una partita fantastica. Eliminammo il Porto, squadra alla vigilia più accreditata della nostra. Mister Vinicio era così. Si giocava sempre per vincere, sempre all’attacco. Prendevamo tanti gol ma ne facevamo moltissimi». Cosa accadde dopo quel successo? «Facemmo festa. Ricordo i tifosi all’aeroporto. Mia moglie perse mio figlio nella calca. Un affetto incredibile». Lei è entrato nell’immaginario dei tifosi del Napoli come uno degli attaccanti più forti che siano mai passati all’ombra del Vesuvio. «Due anni splendidi. Abitavo in via Petrarca e facemmo le fortune del Sarago che con noi divenne il ristorante dei calciatori. Oggi so che non si chiama più così. Sempre a cena con Braglia, Orlandini, Esposito, Juliano, Cané. Non torno spesso in Italia ma ogni qualvolta ci sentiamo è sempre una festa». Cosa aveva quella squadra che sfiorò lo scudetto? «Eravamo davvero forti. Un gruppo che sapeva giocare a calcio e voleva sempre segnare». Il gol al quale è rimasto più affezionato? «Contro la Juve. Purtroppo prendemmo una legnata, finì 6-2 per loro al San Paolo ma io segnai due reti e sbagliai anche un rigore». E poi? «E poi il Napoli mi cedette al Bologna. Ci rimasi malissimo. Ero pronto per un’altra stagione ed invece mi scambiarono con Savoldi. Io lo dicevo ai dirigenti che avrei potuto giocare anche insieme a lui, come seconda punta, ma non ci fu verso». Lei era un centravanti più alla Higuain o alla Cavani? «Sono due giocatori eccezionali. Personalmente mi sento più simile all’argentino che si allarga, va a prendersi i palloni anche a centrocampo». Torna mai in Italia? «L’ultima volta ci sono stato quattro mesi fa. Non sono un procuratore sportivo ma quando vedo qualche ragazzo forte chiamo un paio di amici e lo faccio visionare». Anche al Napoli? «Ebbi un contatto con Pierpaolo Marino, proposi Hernanes che allora giocava al San Paolo. Non ebbi risposta. Ora so che è all’Inter». Ventinove gol in due anni. Nostalgia? «Napoli mi è rimasta nel cuore. Ho ancora tanti amici. Un gioiellere del Vomero con il quale ancora ci sentiamo a distanza di anni. Fratelli». Un suo ritorno in città? «Magari, sarebbe bellissimo». Torniamo al Porto, il Napoli può eliminarlo? «Certo che sì, se gioca come sa. Noi, purtroppo, fummo battuti dal Banik Ostrava, una squadra molto inferiore al mio Napoli, ma quella di Benitez potrà andare avanti in coppa e vincere anche in Portogallo. Per lo scudetto penso che la cosa sia difficile. La Juventus è troppo lontana ma questo Napoli è davvero una squadra sulla quale si può costruire per il futuro».
Fonte: Il Mattino
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