Dopo milletrecentoventisei giorni Walter Mazzarri lascia la panchina del Napoli per sedere su quella dell’Inter.
Un rapporto, quello tra l’allenatore e la città, che in quasi quattro anni ha avuto alti e bassi ma ha vissuto, nel complesso, una lunga ed ininterrotta fase di crescita, anche oltre le aspettative dello stesso Mazzarri. Gli azzurri sono passati dalla parte destra della classifica al secondo posto, passando per una Champions giocata a ottimi livelli e la vittoria in coppa Italia.
All’incredulità e la tristezza delle prime ore successive all’annuncio dello stesso Mazzarri della decisione d’interrompere l’avventura napoletana si sta sostituendo in queste ore la rabbia per un presunto tradimento dell’allenatore che avrebbe rinunciato alla possibilità di vincere con i colori azzurri per accettare la sfida di rilanciare l’Inter, giunta al punto più basso della sua storia recente. Quest’atteggiamento tradisce due errori: l’ingratitudine e l’essersi illusi senza motivo.
L’ingratitudine – Dal 9 ottobre 2009 il Napoli ha iniziato un cammino che l’ha portato, in un tempo relativamente breve, a consolidarsi come una realtà affermata del panorama calcistico nazionale ed europeo.
La prima partita, quella casalinga col Bologna, nove giorni dopo ha dato il segnale di quella che sarebbe stata la qualità migliore del Napoli di Mazzarri, almeno in quella prima fase: la fame di vittorie. Una rabbia agonistica che spesso ha sopperito a carenze tecniche evidenti della rosa napoletana.
Dopo solo otto mesi la città festeggiava la qualificazione in Europa League con due giornate d’anticipo. Il Napoli, alla fine sesto in classifica, tornava in Europa; a Mazzarri gli elogi della critica e un lungo rinnovo contrattuale. Il tecnico di San Vincenzo si legava al Napoli fino al 2013…
Nelle stagioni successive sono arrivate la qualificazione alla Champions, la coppa Italia e il secondo posto in campionato. Anni costellati di ottimi risultati ma anche di momenti difficili. Mazzarri non è stato di certo esente da errori; a meriti incontestabili, come l’esplosione di Cavani come uno degli attaccanti più prolifici d’Europa e l’esplosione di Zuniga come esterno sinistro (acquistato dal Siena come terzino destro, nda) hanno fatto da contraltare scelte discutibili nella gestione di calciatori promettenti come Fernandez e Vargas e la spinta per acquisti esosi e rivelatisi sbagliati.
Il rapporto tra Mazzarri e il Napoli è stato, però, un reciproco scambio di possibilità di affermazione e capacità. Il tecnico ha regalato al Napoli un’identità di squadra e un’organizzazione di gioco che hanno permesso di valorizzare la rosa a disposizione, raggiungendo spesso risultati superiori alle reali possibilità della squadra.
Il Napoli, da parte sua, ha dato al proprio allenatore visibilità, possibilità d’investire, libertà di scelte tattiche e un peso rilevante in fase di mercato (nonostante differenze di vedute con la linea che De Laurentiis intende affermare, nda). Condizioni fondamentali per aiutarlo ad affermarsi come un allenatore di prima fascia. Se oggi Mazzarri è uno dei tecnici più apprezzati in Italia e conosciuto a livello europeo, una parte importante del merito è delle possibilità che gli ha assicurato il Napoli.
Limitandoci agli aspetti tecnici, Mazzarri merita la gratitudine della città, non di certo l’infantile campagna denigratoria che i Media gli stanno riservando.
Le false illusioni – <<traditore>>, questa è il leit motiv delle critiche mosse in queste ore all’ormai ex allenatore del Napoli da una parte nutrita di tifosi e da molti opinionisti, o presunti tali. Mazzarri è accusato di aver preso in giro tutti, di non essere stato chiaro con la piazza. Lui si è difeso con il solito piglio, sostenendo che sarebbe stato controproducente per la squadra annunciare la sua partenza.
Come spesso accade la verità sta nel mezzo. Mazzarri, secondo questa logica, avrebbe potuto di certo comunicare la sua decisione dopo la conquista matematica del secondo posto, se ha tardato nel farlo è stato perché era nel pieno di una complessa trattativa che lo vedeva impegnato su due tavoli, quello della Roma e quello dell’Inter. In questo i tifosi non hanno tutti i torti.
La questione vera è però che Mazzarri ha dato durante tutta la stagione segnali chiari della sua volontà di andar via. Solo chi non ha voluto coglierli ha continuato a scrivere che sarebbe rimasto sulla panchina del Napoli. I più “creativi” si sono addirittura lanciati in proclama che volevano Mazzarri aver già firmato il prolungamento del contratto, con tanto di cifre e durata.
Mazzarri ha vissuto l’avventura a Napoli secondo il suo concetto di professionista: lavorare duro, dare tutto se stesso fino al raggiungimento del massimo traguardo possibile. A quel punto cambiare, passare ad uno step successivo.
La verità, ormai nota tra gli addetti ai lavori, è che Mazzarri aveva deciso di lasciare il Napoli dopo il terzo posto. L’accordo non chiuso con la Juventus, quello non trovato né con l’Inter né con la Roma – assieme all’affascinante possibilità di allenare per la prima volta in Champions – hanno fatto sì che il rapporto tra il tecnico toscano e De Laurentiis continuasse fino a qualche giorno fa. Mazzarri non credeva si potesse far di più, tenuto conto della diversa idea di sviluppo che esisteva tra lui e De Laurentiis. L’allenatore voleva investimenti molto importanti, e costosi, su giocatori già fatti. Un’ottica a breve termine che puntava a vincere subito.
Il presidente, invece, ha un’ottica a media/lunga scadenza che passa per una più lunga programmazione e la valorizzazione di giovani di sicuro talento, sui quali poter investire comunque cifre importanti. Una gestione societaria che, se ben bilanciata da acquisti di qualche calciatore già affermato, è a parer mio vincente. Per attuarla però non occorre solo rafforzare il reparto scouting, ma anche avere un direttore sportivo di maggior spessore e finalmente investire in maniera concreta nel settore giovanile. I tifosi hanno la “colpa” di credere in una visione romantica del calcio che fatica sempre più a sopravvivere. Una parte dell’informazione, invece, ha la responsabilità, ben più grave, di alimentare ad arte le illusioni della tifoseria.
Un cambio radicale: l’erede spagnolo – L’eredità che lascia Mazzarri è pesante; non sarà semplice ripetersi a livelli altissimi, anche in considerazione del cambio di modulo, dell’impegno Champions e la possibile partenza di Cavani. Una sfida difficile, come quella che avrebbe dovuto affrontare Mazzarri se avesse scelto di rimanere a Napoli.
È questa, forse, la più grande differenza tra Benitez e il tecnico toscano. Lo spagnolo non teme le sfide. Tre anni fa non avuto paura nel raccogliere l’eredità dell’odiato Mourinho sulla panchina interista, dopo che il portoghese aveva vinto tutto ed era “scappato” a Madrid. L’ambiente ostile, una squadra appagata e uno spogliatoio che non lo amava gli hanno fatto perdere quella sfida, vincendo comunque una supercoppa italiana e un mondiale per club.
Stessa sorte quest’anno sulla panchina del Chelsea, dove è succeduto a un outsider di lusso come Di Matteo. L’allenatore italiano che rimarrà nella storia del club per essere riuscito, lì dove aveva fallito anche Mourinho, vincere la Champions. Benitez è riuscito, pur senza offrire un gran gioco, a conquistare l’Europa League e l’accesso diretto alla Champions; vincendo la sua ennesima sfida.
Se dovesse arrivare Benitez, a Napoli porterebbe una grossa novità. Non tanto il palmares di vittorie o l’esperienza internazionale, quanto la convinzione che Napoli non è una piazza per (ri)lanciarsi ma un ambiente in cui è possibile vincere. O almeno provarci.
Pompilio Salerno
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