Gaetano Miccichè, ex presidente della Lega Serie A, ha commentato al Corriere della Sera la situazione che si sta vivendo in queste settimane in Lega, in seguito alle dimissioni di Paolo dal Pino, le venti squadre di A sono alla ricerca di un nuovo presidente. Durante il suo mandato, Miccichè si è ritrovato a dover gestire il caso Mediapro, favorendo l’ingresso di Dazn: la vendita dei diritti tv 2018-2021 si attesta sui 973 milioni di euro.
L’attuale Chairman della Divisione IMI Corporate&Investment Banking di Intesa Sanpaolo ha rivissuto i 18 mesi alla presidenza della massima divisione del calcio italiano: «Se ripenso a quel periodo della Lega serie A, il mio sentimento è ambivalente – le sue parole in un’intervista al Corriere della Sera -. Umanamente è stata una fase splendida della mia vita professionale: ho avuto l’opportunità di conoscere gruppi di lavoro, rappresentanti venti realtà territoriali differenti, ciascuna con la propria storia sportiva. Ho cercato di fornire il mio contributo in maniera onesta, partendo dalla consapevolezza maturata in cinquant’anni di carriera: nelle aziende ci sono comportamenti standard da seguire, avere bilanci in ordine, una governance chiara, deleghe definite. Ecco perché devo confessare che, oltre all’entusiasmo, l’esperienza mi ha procurato grande fatica. È un ambiente che manca totalmente di regole».
Qual è dunque la medicina per guarire il mondo del pallone? «Condivido il ragionamento di Gabriele Gravina sullo statuto e le maggioranze. Vedete, l’anomalia della Lega è che club con fatturati, stadi e seguito diversi fra loro hanno gli stessi diritti. Ma la responsabilità di vendere i diritti televisivi, far entrare o meno i fondi di private equity — strategia che peraltro approvo in pieno —, o riformare i campionati dovrebbe essere di esclusiva competenza delle big. Le regole fondamentali devono essere delegate alle società di maggiori dimensioni in modo tale da riconoscere un beneficio economico maggiore alle medie e piccole società. L’assemblea si dovrebbe riunire una volta l’anno e negli altri casi delegare al consiglio le altre decisioni»
Resta da capire perché, dopo la lunga permanenza di Maurizio Beretta, manager di successo non hanno resistito più di due anni nei corridoi di via Rosellini. «Non si sopravvive perché non vengono assegnati mandati chiari e non c’è un azionista di riferimento. Uscivo da ogni assemblea con un mal di testa violento: non era facile dirigere le riunioni tra presidenti che urlavano, altri che pensavano ai fatti propri e altri ancora che si scambiavano insulti. Però, se un sistema non funziona, chi lo rappresenta maggiormente e penso ai grandi club, ha più responsabilità degli altri».
Fonte: Calcio e Finanza
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