L’inserzione per una porta in cui non voglio più abitare, compare all’ottavo minuto della partita Rep. Ceca–Grecia, al Municipal Stadium di Wroclaw, Polonia, l’inquilino che ha deciso di andare è Petr Cech, niente a che vedere con Stalin, ma con un brutto errore. Non che il portiere del Chelsea sia un pabitel (dal ceco, sbruffone), anzi, è un mite, abita la sua casa/porta con molta discrezione. Certo, viene visto dagli altri abitanti come uno stravagante, per via della cuffietta che tiene sempre in testa. Nonostante l’eccentricità sarebbe piaciuto a Bohumil Hrabal, estimatore di sole nei ristoranti all’aperto, figuriamoci di quello sui campi. Peccato che ad illuminare l’inquilino Cech sia stato un cross non visto, la palla che gli passa tra le mani e finisce sui piedi di Gekas che segna. Cech ha avuto già delle brutte esperienze, eppure, un attimo, zac, gli è entrato il pallone in casa. L’inquilino, al numero uno, sa che se te la cavi bene o meno dipende tutto da come sarà vista la tua ridicolaggine quando esci a difendere la porta. Ogni azione è un trauma poetico, inattivamente attivo, questo il suo ruolo. Ha una finestra sul campo che si rovescia in un tempo determinato. Quando un pallone ti entra alle spalle, soprattutto se lo tenevi tra le braccia, non è facile, rialzarsi, raccoglierlo e ricominciare. Per questo è comparsa l’inserzione, e stava sul viso dell’inquilino, che di solito ha una faccia da ragazzo pulito. È stato un delatore di se stesso, Cech, tutto procedeva per il meglio, i greci erano messi peggio che nella realtà, e lui – rispondendo a un gergo interiore, al rimorso di una facile vittoria – gli ha regalato il gol, una carezza in un pugno, mancato, quello che non ha respinto la palla.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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