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Le confessioni del presidente: “Così presi il Napoli…”

A margine di un premio consegnatogli all’Unione industriali, De Laurentiis svela alcuni retroscena della sua ascesa nel mondo del calcio

De Laurentiis racconta il suo Napoli, dagli inizi a oggi. E lo fa con la consueta passione mista a veemenza a margine della consegna del premio “Efesto – Capitani coraggiosi”, che gli è stato consegnato nella sede partenopea dell’Unione Industriali dall’associazione I Centenari per “aver creduto nel rilancio della società sportiva Calcio Napoli, investendo le migliori energie e risorse personali e contribuendo a darne un’immagine vincente nel mondo”.

“Quando sono arrivato in città  –  racconta De Laurentiis  –  non credevo più nell’Italia. Vedevo in giro solo false eccellenze, tutti pronti ad autocelebrarsi ma nessuno disposto a fare qualcosa di concreto. Nel 1998 pregai mio figlio Luigi di andare in America per gli studi. Lo raggiunsi e cominciai a lavorare lì”.

“Qualche tempo dopo – prosegue nel suo racconto il presidente azzurro – in vacanza a Capri, mi colpì un’immagine su un giornale che ritraeva una pancia gigantesca di Gaucci, più grande della mia e piena di ori. Era il 2004 e lessi sui quotidiani: “Napoli fallito”. Mi informai e decisi di caricarmi sulle spalle la società sportiva. Nel giro di ventiquattro ore impiegai i miei soldi per il grande passo, sotto gli occhi smarriti dei familiari. Non ascoltai nessuno e andai avanti per la mia strada”.

Spazio anche al progetto di restyling del San Paolo: “Non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Bisogna prima valutare il mercato, poi con la crisi che c’è
in giro ci sono altre priorità. Nel mondo del calcio stanno entrando pesantemente gli arabi, i sudamericani, i russi, mentre noi seguiamo le regole di Platini. Si fanno avanti anche i cinesi, che conoscono i nomi dei giocatori del Napoli e di altre squadre italiane. In Cina, però, le partite sono tutte truccate e qui – conclude scherzando – un po’ meno. Speriamo…”.

Fonte: Repubblicanapoli.it

La Redazione

M.V.

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