È il napoletano tifoso della Juve più celebre. Anche perché è stato l’unico ad esserne stato presidente dal 2003 al 2006, la primavera dello scudetto numero 29 e di Calciopoli. Ma Franzo Grande Stevens, 83 anni, titolare di uno dei più prestigiosi studi legali e presidente onorario del club, di quella storia non parla, tenendosi lontano dalle polemiche.
Com’era la Napoli di Grande Stevens?
«Durante la guerra il collegio dei Benedettini di Montecassino, dove vivevo dall’età di 8 anni, chiuse e tornai a Napoli per frequentare il ginnasio al Vico, dove insegnavano maestri, ad esempio, come Sannia e l’Arcuno. Mio padre aveva un piccolo pastificio, mia madre fu isolata dai tedeschi in un campo di concentramento a Chiaiano, colpevole di ascoltare Radio Londra dove parlava mio zio, il colonnello Stevens. Vivevo da una zia sulla collina dei Camaldoli e scappavo nei boschi se arrivavano i tedeschi. Quando ci raggiunsero le forze dell’Ottava Armata britannica venni accolto nelle vicinanze dell’ospedale Cardarelli dalla Brigata palestinese, composta da soldati ebrei guidati da Tiberius Iritz».
Quando arrivò a Torino?
«Mi laureai con il massimo dei voti con Alessandro Graziani, maestro di diritto commerciale, ed entrai nello studio del grande avvocato civilista Francesco Barra Caracciolo. Volevo conoscere Paolo Greco, insigne giurista napoletano che insegnava a Torino, e andai a trovarlo. Venni ”sequestrato” e inserito nello studio di Dante Livio Bianco, da poco deceduto, allievo di Manlio Brosio e collaboratore di Piero Calamandrei. Vivevo in una camera ammobiliata. Così cominciò la mia avventura torinese».
Lei è stato soprannominato l’Avvocato dell’Avvocato. Come nacque il suo rapporto con Agnelli?
«L’Avvocato mi chiese l’assistenza legale nella cessione di una sua azienda. Mi disse: quando mio nonno ebbe bisogno di un avvocato civilista si affidò all’avvocato napoletano Vincenzo Janfolla, ho sentito parlare bene di lei e anch’io mi affido a un avvocato napoletano. Da allora, seconda metà degli anni ’50, il rapporto è diventato sempre più assiduo e si è esteso alla famiglia, in particolare a Gianni e Umberto Agnelli».
È stato presidente della Juventus per tre anni.
«Quando morì Vittorio Chiusano, il grande penalista torinese presidente del club, il lavoro mi assorbiva molto. Umberto vinse la mia riluttanza, dicendo che dovevo accettare perché era un tributo all’amico scomparso. E io accettai».
Da napoletano avrà seguito la crescita del Napoli, dal fallimento alle partite di Champions.
«Certamente. Conosco le vicende della squadra, dai campioni come Maradona a quelli attuali come Cavani, Lavezzi e Hamsik».
Ha simpatia verso il Napoli?
«Confido e godo della vittoria del Napoli, quando non gioca contro la Juve o non c’è un interesse della Juve».
Domani l’ultimo atto di Del Piero alla Juve.
«Ha giustamente voglia di continuare a giocare anche se con minore intensità e minore stress di quelli del campionato italiano. C’è tempo per lavorare a tavolino. Del Piero resterà sempre una bandiera e un esempio della Juve oltre che un grandissimo calciatore come Sivori e Platini».
Il pronostico per la finale?
«Spero che sia una bellissima partita, esemplare non solo per abilità tecnica ma anche per correttezza, sia dei giocatori che del pubblico. E che, naturalmente, vinca la Juve».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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