Ma quando s’è spenta la luce, nel bel mezzo d’una notte già terribile, in fondo al tunnel s’è accesa la spia giallorossa: la maledizione è un rito, mica una casualità, e pure stavolta la Roma s’offre alla casistica, lasciando ciondolare il capoccione del pocho. Cinquantasei minuti, poi la resa, con la mano che va a premere sulla coscia sinistra e il dolorino che induce ad uscire per evitar guai più seri, ma che mette seriamente in rischio la sfida con il Genoa: «Mister, cambio, non ce la faccio». Fuori Lavezzi, con quel velo di tristezza che annienta i sorrisi: «Fa male qua, dottore». Fa male la coscia e pure l’anima, fa male ripensare al destraccio che strapazza il palo di Stekelenburg, fa male accorgersi che è stato tutto vano e ora è terribilmente complicato riafferrare il treno dei desideri e soprattutto rimettersi in piedi per mercoledì sera: 10% di possibilità, sussurrano nello spogliatoio andando ad alimentare un pizzico d’ottimismo che precede gli esami ecografici per capire cosa si nasconda dietro “lo stiramento al retto femorale della coscia destra”.
LE STREGHE – Un anno fa, stadio Olimpico di Roma, la sensazione amarognola, con le streghe che s’addensano in una serata altrimenti meravigliosa e lo scambio di sputi con Rosi che gli costa tre turni e il supermatch in proiezione scudetto contro il Milan. Il tempo passa e i corsi ed i ricorsi si concretizzano: due minuti e suona l’allarme con lo 0-1, prima di rendersi conto ch’è tutto vano, che i fantasmi stanno aleggiando sul san Paolo. Cinquantaseiesimo minuto, a volte basta poco per cambiare la scena e mutare lo spirito: palla in orizzontale, poi in verticale, a cercare o scatto sul secondo palo e oltre la linea dei difensori. S’avventa Lavezzi, ci va in tuffo, trova una sfera sporca, ma sente un muscolo ballerino, che ne ridimensiona l’ardore e lo spinge fuori dal match. Il palo con quel destro terrificante, l’ occasionissima di Hamsik, l’errore di De Sanctis: è scritto da qualche parte e contro il destino è inutile sforzarsi, perché a quel punto si rischia.
MERCOLEDI’ SI GIOCA -Non c’è tempo da perdere in ragionamenti, dopo settantadue ore si va di nuovo in campo, con il Genoa, la sua prima squadra italiana, conosciuta nell’estate del 2006 per un mese in ritiro, prima che i rossoblù finissero dalla serie A direttamente in serie C: “Risentimento al retto femorale della alla coscia destra”. Un pizzicotto che in genere sta lì a lanciare segnali da cogliere al volo: e tra settantadue ore, difficilmente Lavezzi riuscirà ad infilarsi nel san Paolo.
RISCHIA GARGANO -Al novantacinquesimo, il bollettino medico finisce per appesantire ulteriormente l’aria greve del san Paolo e l’emergenza già diviene palpabile: Lavezzi è nell’elenco dei (virtualmente) inabili, quando s’accorge d’essere in buona compagnia, perché pure Gargano ha rimediato un pestone, motivo d’una sostituzione improvvisa che induce Mazzarri a far scaldare con largo anticipo non soltanto Pandev – destinato a sostituire il pocho – ma anche Dzemaili, l’alternativa naturale nel bel mezzo del gioco per l’uruguayano.
MOMENTO NO -La nottata dovrà passare per saperne di più, ma a volte parlano i volti (scuri) e le espressioni (leggibili): i sette punti nelle ultime sei giornate lasciano il segno nella classifica, ma nel morale la ferita è ancora più ampia; almeno quanto quella che si portano appresso Lavezzi e Gargano. Clic, c’è il buio dentro.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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