Ci mancherebbe: rispettabilissimi entrambi in campo e fuori, ma diversi. Addirittura opposti nel loro modo di porsi ai calciatori, prima ancora che alle geometrie del calcio. Questione di filosofia. O d’abitudine. O forse di carattere soltanto, chi lo sa. Ovvio, ognuno è fatto a modo suo, ma Mazzarri e Donadoni – domani avversari a Parma – davvero in comune non hanno proprio nulla. Anzi, fanno addirittura scintille se appena appena si “strofinano” anche solo da lontano. Parola del Napoli di ieri e anche di oggi. Di quel Napoli, cioè, che proprio Mazzarri ereditò da Donadoni un anno e mezzo fa.
RIVOLUZIONE – Ottobre del 2010. Sette punti in sette partite e nella solitudine dell’ultima sconfitta (all’Olimpico contro i giallorossi) De Laurentiis fa la rivoluzione. Bye bye Donadoni e chiavi dello spogliatoio a Mazzarri. Il quale arriva, guarda, scruta, fa le consultazioni e disegna la nuova strategia. Prima in casa col Bologna: non cambia nulla, in campo col vecchio 3-5-2, ma al Napoli basta la presenza del nuovo allenatore per prendere i tre punti. Ma già alla seconda il cambiamento è cosa fatta. A Firenze, infatti, passa da quel disegno figlio di Edy Reja e poi di Donadoni, a un 3-4-2-1 parente prossimo d’una squadra col tridente. Vince un’altra volta e comincia così la lunga, fantastica cavalcata azzurra.
DIVERSI IN TUTTO – Donadoni parlava al gruppo. Mazzarri, invece, oltre a parlare al gruppo, divide il gruppo in sottogruppi e ci parla ancora e poi passa ai colloqui individuali. Non c’è giorno che non faccia questo. Così passa la maggior parte del suo tempo. Senz’offesa, si capisce, almeno quand’era allenatore azzurro, il rapporto di Donadoni con i suoi appariva, come dire? un po’ elitario, mentre quello di Mazzarri è assai diretto, personale, intimo addirittura. E forse una ragione c’è: vengono da vissuti opposti. Donadoni ha praticato sempre il meglio del pallone e forse s’è abituato ad aver rapporti soprattutto con calciatori già fatti, già completi. Mazzarri, invece, calcisticamente è cresciuto in altro modo, lui al grande calcio c’è arrivato partendo dal basso e da lontano. Storie, uomini, caratteri diversi. Uno nato in collina sulle sponde d’un torrente bergamasco e l’altro, invece, in riva al mare della maremma livornese. E un allenatore di fiume e un altro di scoglio possono mai somigliarsi un po’?
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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