Difficile spiegare l’involuzione tecnica e mentale di una squadra che avrebbe dovuto essere caricata a pallettoni alla luce del pareggio casalingo della Roma e che invece, al cospetto di un avversario di terza fascia e per di più in vantaggio, si sfalda strada facendo apparendo alla fine impotente e disarmata. Non tutto può essere giustificato dall’assenza del suo profeta Higuain. Il Napoli dovrebbe avere un impianto di gioco tale da consentirgli di non dipendere da un singolo giocatore. Non penso che la Juve anche senza Tevez farebbe mai una prestazione così incolore come quella vista a Livorno. Magari poi senza l’Apache gli mancherebbe il guizzo per risolvere il match, questo senza il fuoriclasse può succedere, ma si vedrebbero comunque i tratti distintivi della squadra di livello: intensità, trame di gioco, compattezza, aggressività. Nel Napoli Higuain non è il campione che arricchisce con il colpo di classe un’orchestra che suona già con sincronia, ma spesso è il salvatore di una nave che va alla deriva. Come accaduto non più tardi di qualche giorno fa con lo Swansea.
Per capire la disfatta di Livorno si deve partire dal secondo tempo quando anche Benitez deve prendere atto del fallimento delle scelte iniziali cercando di porvi in qualche modo rimedio con le sostituzioni di Pandev e Hamsik. La pessima prestazione del macedone, impreciso e pigro, fiacca alla lunga anche Hamsik costretto per lunghi tratti a cantare (cercando l’inserimento in area) e portare la croce (venire a ricucire qualche abbozzo di trama a metà campo). Le squadre sono appena rientrate in campo che Jorginho pesca lo slovacco tra le linee. Palla persa immediatamente per mancanza palese di sostegni e opzioni di passaggio. Emerson può uscire dalla propria metà campo palla al piede scrollandosi gli avversari di dosso come fossero moscerini (è proibito il fallo tattico nella filosofia di gioco di Benitez?). Nell’azione subentra Greco abbandonato da tutti i centrocampisti azzurri. Paulinho nel frattempo conquista l’ampiezza a sinistra ed è servito puntualmente. Dribbling sull’esterno e tiro di sinistro rimpallato in tackle scivolato da Fernandez. Non passa neanche un minuto e il refrain si ripete identico. Ma la topica più grande si registra al 15’ quando, sugli sviluppi di un calcio d’angolo in difesa tutti i giocatori del Napoli escono in maniera disgregata dall’area di rigore dopo una respinta aerea, lasciando Mbaye e Paulinho dietro a sé. Il gol sembra fatto ma l’attaccante amaranto spara addosso a Reina che salva ancora la pelle.
Il quarto d’ora più brutto della stagione del Napoli finisce qui e lascia tante ferite dentro in termini di autostima e di proiezione del progetto tecnico e agonistico nel futuro. Da dove ripartire, come ritrovare la necessaria consapevolezza di sé e quella determinazione perduta dopo la gara col Milan. Ciclicamente il Napoli cresce per poi sgonfiarsi. Un rebus che andrebbe sottoposto a qualche psicanalista. Nella prima parte della stagione si dava la colpa alla posizione di Hamsik troppo avanzato e slegato dal centrocampo, poi alla scarsa complementarietà dei centrocampisti, infine alla scarsa attitudine ad andare incontro all’avversario dei macchinosi difensori centrali. Tutti problemi affrontati e apparentemente risolti.
Ora Hamsik gioca più basso, Jorginho ha dato quelle caratteristiche tecniche che mancavano, i difensori si stanno impegnato ad affrontare il nemico invece di scappare sistematicamente. Ma l’insieme non decolla lo stesso. Certo davanti la squadra può sempre creare una palla gol con un tagli di Callejon, un tiro di Mertens, un dribbling di Insigne, oltre che con la classe di Higuain. Ma mancano due ingredienti essenziali: la continuità e l’altruismo. Tutti cercano sempre più spesso la soluzione individuale e la soddisfazione personale. Raro vedere la voglia per servire un compagno. Forse l’unico che cerca di muoversi ancora per i compagni è proprio quello che dovrebbe essere egoista, il Pipita.
Fonte: Il Mattino.
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