Il tempo è un galantuomo e lenisce qualsiasi tipo di ferita: quattro anni vivi, vibranti, intensi, persino con le turbolenze classiche (ed inevitabili) che caratterizzano qualsiasi rapporto; ma ora che sta arrivando l’ora della verità, la risposta che De Laurentiis e Mazzarri devono a se stessi, non è – egoisticamente e per entrambi – la più “comoda”, ma sostanzialmente appare come la più giusta. In quel cono di luce che racchiude questa belle époque che va dal 2009 ai giorni nostri, la sintesi di un’unione (quasi) perfetta è racchiusa in quel groviglio d’emozioni (i risultati, praticamente) vissute assieme attraverso le differenze (affinità?) caratteriali che hanno provveduto prima a determinare distanza e spigoli e poi a rigenerare l’analoga visione dell’universo: ora che la stima s’è trasformata in empatia, che le letture strategiche dell’uno si sono mescolate con quelle dell’altro, la condivisione del progetto appare assoluta e conciliabile, pur nella consapevolezza difficoltà di trovare l’uniformità assoluta delle rispettive filosofie di pensiero. Ma un presidente e un tecnico sono costretti, necessariamente, per cultura, per ruolo, per conoscenze dirette, ad affrontare una forbice, che nel Napoli va richiudendosi, frettolosamente, in maniera spedita, non convenzionale, né utilitaristica: stavolta è una questione di feeling. Le convergenze parallele sembrano (intenzionalmente) tracciare un percorso inimmaginabile fino a qualche giorno fa.
Fonte: Antonio Giordano per il “Corriere dello Sport”
La Redazione
A.S.
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