Oje vita, oje vita mia… L’ultima volta, al Meazza, al termine di Inter-Napoli: cinquemila, seimila? Non è certo il numero, ma il coro era ugualmente possentemente festoso, inequivocabilmente napoletano. Da brividi di emozione.
Ma la prima volta, quando e dove? Ecco un testimone eccellente, non si sa ormai più se poco brasiliano e molto partenopeo, o viceversa, proprio lui: Luiz de Menezes detto Vinicius dalle sue parti, da noi più semplicemente Vinicio. «Come fai a dimenticare quella prima volta in cui un mare di napoletani trascinati dalla squadra, forse protagonisti della prima migrazione di massa, cantarono l’antico ritornello in uno stadio lontano da Napoli per far esplodere soddisfazione, gioia e orgoglio? Ero l’allenatore di quel Napoli e il ricordo è qui, nel mio cuore oltre che nella mia mente – racconta – a 36 anni di distanza. Quella curva solitamente abitata dai tifosi della Roma e per una volta tutta azzurra, capace di un sussulto imponente. Tornando negli spogliatoi, dopo esserci fermati a ringraziare i nostri tifosi emigranti, avevamo tutti gli occhi lucidi. E la sera, quando raccontai a mia moglie la gioia provata all’Olimpico, anche Flora per un istante cedette alla commozione. Quel coro non se l’aspettava nessuno di noi in campo, nacque certamente da un felice contagio. Mi piacerebbe a distanza di tanti anni stringere la mano a chi lo iniziò».
Appunti per la storia, a partire dalla data: Lazio- Napoli, 7 dicembre 1975. Il Napoli è in campo con “Gedeone” Carmignani, Bruscolotti, La Palma, Burgnich, Landini, Orlandini-birillo, Peppeniello Massa, Esposito, Beppe Savoldi, signor quasi due miliardi (sostituito subito per infortunio da Sperotto), Gigi Boccolini, l’eroe di giornata, Braglia. E va in gol proprio con Boccolini, il marchigiano venuto da Brindisi, pedina voluta e amata proprio dall’allenatore.
Il Napoli conserva il prezioso vantaggio con saggezza, cioè giocando come sa, gagliardamente all’olandese, fino al termine quando esplode il ritornello della canzone di Aniello Califano, prolifico poeta di Sant’Egidio del Monte Albino, e di Enrico Cannio, musicista altrettanto prolifico, specialista in marce e marcette, e non soltanto. Gli autori non vengono informati, lassù (o laggiù) dove riposano: Califano dal 1919, Cannio dal 1949. Nessuno ha pensato di ricorrere alle… vie del Signore, che sono sempre infinite ma vanno per lo meno sollecitate.
Nella stagione precedente, 1974-75, l’ex allievo nell’Internapoli, realizzando un rigore a sette minuti dal termine, aveva spento il fuoco di Vinicio, allenatore gagliardo di un Napoli piacevolissimo finito secondo quell’anno memorabile, per jella, a soli due punti dalla Juventus di “core ‘ngrato” Altafini. Giorgio Chinaglia abbassò lo sguardo incrociando quello di Vinicio, quasi vergognandosi di aver rubato un punto al Napoli che aveva disputato una gara eccellente anche contro la Lazio, costretta al pari anche all’andata, vantaggio con il brindisino doc Tonino La Palma, l’1-1 di Garlaschelli nell’ultimo quarto d’ora.
Tornando all’Olimpico l’anno dopo, l’ex centravanti di Belo Horizonte, ‘o lione di Napoli, calciatore sempre indomito, primeggiante nelle leggende sportive della Città, dopo aver sfiorato il suo primo scudetto qualche mese prima, poteva vantare un ottimo ruolino di marcia.
Aveva cominciato battendo il Como al San Paolo, rigore di Beppe-gol, pareggio alla seconda a Firenze (1-1, rigore di Casarsa per i viola, conti pareggiati da Massa), Savoldi e Braglia avevano spento il Cesena alla terza; 4-2 nella mai amata Verona (Juliano, La Palma, Braglia, Savoldi), tre gol al Cagliari di “Giggirriva”(Massa e doppietta di Savoldi), sconfitta a Torino per 3-1 (irresistibile Pulici!), vittoria a Fuorigrotta contro il Milan di Rivera, rigore di Savoldi.
Ventimila (o trentamila? I conti, all’epoca, non erano mai precisi come usa oggi). Comunque, un grande esercito per l’invasione, e la festa finale, purtroppo seguita da tre domeniche di buio mai spiegato: pareggio casalingo con l’Ascoli, sconfitta con l’Inter a Milano, altra sconfitta, con la Juventus, a Torino. E gli azzurri che si allontanano dalla zona-scudetto, destinati a finire al quinto posto.
Nella penultima partita di campionato il pubblico del San Paolo saluta il 4-0 al Perugia invocando ripetutamente il nome di Vinicio, praticamente confermandolo alla guida del Napoli, certamente sa che tra Ferlaino e ‘o lione il feeling, se mai c’è stato, è al punto zero. Infatti Vinicio lascia, a malincuore, la squadra che ha sempre amato e onorato, da calciatore e da tecnico, e che continua a onorare con il suo inossidabile amore.
Oje vita, oje vita mia… A Manchester come a Milano, e naturalmente a Napoli. Il popolo conferma di aver scelto l’inno del Napoli ed è sempre stato il popolo, adottandola, a far diventare popolare una canzone, magari trasformando in marcia un motivo di struggente nostalgia. Canzone eseguita per la prima volta da un entusiasta Gennaro Pasquariello, in pieno 1915, con la Grande Guerra in atto, e dedicata, come tante altre, opere di poeti e musicisti napoletani, a un soldato al fronte. Un peccato proprio veniale, felice contaminazione già approvata da Califano e Cannio che, lassù o laggiù debitamente e finalmente informati, si uniscono al coro.
La Redazione
A.S.
Fonte: Il Mattino
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