Il calcio visto dalla «sua» Madrid, poi da Valencia, da Liverpool e sino a Londra è un concentrato di soluzioni che inducono alla cautela ma che non rinunciano mai: avanti, certo, anche se con giudizio, però liberandosi dalle catene e partendo da un presupposto (inattaccabile), la difesa a quattro, sostenuta attraverso tesi che tranciano una netta separazione con il suo predecessore: «Chi gioca con tre centrali difensivi dichiara in partenza che ha paura. E dunque non ha, per me, la vera voglia di vincere. Significa dirsi moderni, quando in realtà si è rimasti al libero» . Vero o falso che sia, e senza voler ripercorrere la storia (tattica) del calcio dal «Vianema» ai giorni nostri, in Benitez c’è un ricercatore, un instancabile (maniacale) perfezionista, un illuminato lettore della realtà che lo circonda: nel Chelsea ereditato da Di Matteo, quell’inamovibile David Luiz, ha scoperto il piacere d’organizzare la manovra da regista e non più da centrale difensivo, ruolo che pareva avere nelle corde; il Gerrard statuario (che contribuì a riafferrare il Milan per i capelli) in quel Liverpool s’è ritrovato a fare e a dare un contributo rilevante in qualsiasi fascia della zona centrale del campo e anche altrove, finanche sugli esterni, arati con quella cavalcata possente e però leggiadra.
GEOMETRIA – Poi è un rispetto doverose delle linee, delle coperture, delle diagonali che in fase di non possesso vanno assicurate attraverso i movimenti a scalare degli esterni offensivi ma anche dell’incursore centrale. Però la manovra ha modalità differenti rispetto al recente passato, passa attraverso gli incontristi-registi di riferimento, sceglie poi lo sfogo periferico e però aggredisce lo spazio con un numero sempre consistente di uomini (e tenta mai di sguarnire la propria metà campo: parte uno, l’altro sul binario copre) però senza esagerare.
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