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La tata di Diego: «Ora portate quei ricordi al San Paolo»

Lucia Rispoli, vedova dell’ex custode dello stadio di Fuorigrotta: «Per me è stato il dodicesimo figlio»

«Prima di morire ho un solo desiderio: poterlo riabbracciare. Con lui ho trascorso i sette anni più belli della mia vita. Per me era come un figlio. Vorrei che tornasse a Napoli per mostrargli questo piccolo museo che abbiamo allestito in suo onore». Ha gli occhi lucidi mentre parla di quello che nella memoria collettiva è impresso come il Pibe de Oro. Sessantacinque anni, vedova di Saverio Vignati, compianto custode dello stadio San Paolo, Lucia Rispoli è la «mamma napoletana» di Diego Armando Maradona. Madre di undici figli («il dodicesimo era lui», dice con fierezza), ed è stata la governante in casa del calciatore dal dicembre 1984 al marzo 1991. Anni trascorsi nella dimora dorata di Diego, Claudia e i loro figli, in via Scipione Capece a Posillipo, dove «ogni giorno era un continuo pellegrinaggio di tifosi». Residente a Miano, mamma Lucia, come la chiamava affettuosamente il campionissimo, ha un sogno: far sì che i ragazzi dei quartieri a rischio possano ammirare i cimeli appartenuti alla mitica «mano de Dios», grazie ad un progetto ideato con i consiglieri della III municipalità Giuseppe Barbato, Salvatore Flocco, Benedetto Romano e Gaetano Briante e con l’assessore municipale allo Sport Domenico Crea.
Quando ha conosciuto Maradona?
«Eravamo a pranzo a casa di una mia nipote in via Stadera. Lui era arrivato a Napoli da pochi mesi. In quell’occasione assaggiò la mia cucina e se ne innamorò. Dopo mi chiese di lavorare per lui».
Che periodo era?
«Dicembre ‘84».
Quali erano i suoi piatti preferiti?
«Amava molto i capellini in bianco con scaglie di parmigiano, la fresella con il pomodoro e la zuppa di pesce. Non appena si alzava, inoltre, gli preparavo piatti di frutta mista».
Qual era il rapporto tra voi?
«Un legame come tra madre e figlio. Per andare a lavorare da lui ho affidato i miei figli a Carmela, la primogenita. È lei che li ha tirati su quando io non c’ero».
Un grande sacrificio per accudire Maradona e la sua famiglia…
«L’ho fatto con il cuore per sette anni. Lo meritava. Era una persona buona e altruista. Bastava dirgli che c’era qualcuno in difficoltà, che aveva bisogno di cure o medicine e lui si prodigava subito donando grosse somme di denaro. Una volta gli parlai di un ragazzo costretto su una sedia a rotelle. Non esitò a fargli avere dei soldi per le cure necessarie».
Quali erano le sue abitudini?
«Al mattino si alzava, faceva colazione se ne aveva voglia, poi correva agli allenamenti a Soccavo. Scherzava molto con me. Ballava e si divertiva a prendermi in giro, dicendomi affettuosamente parolacce in una lingua a metà tra il napoletano e l’argentino. Era il nostro modo di volerci bene».
Una casa che era una specie di santuario preso d’assalto dai tifosi ogni giorno…
«Non poteva nemmeno affacciarsi al balcone che la folla dei fan era lì ad osannarlo a ogni ora del giorno».
Quali erano i frequentatori più assidui di casa Maradona?
«Ciro Ferrara e Pino Daniele. Con loro organizzava spesso serate tra amici, compagni di squadra e altri personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport».
Di che anni parliamo?
«Dal dicembre ’84 al marzo ’91».
Fino a quando risultò positivo al controllo antidoping dopo Napoli-Bari?
«Sì…».
Lei quindi non lo vede da oltre vent’anni?
«Già. Ci sentiamo al telefono talvolta. A maggio è stata mia ospite la figlia Dalma, che ho visto nascere e che oggi ha 25 anni. L’ho portata con me al mercato. La gente la riconosceva, nonostante avesse il volto coperto con foulard e occhiali da sole. Tutti dicevano: “Guarda, la figlia di Maradona!”. Io rispondevo che si sbagliavano (sorride, ndr)».
Lei oggi, insieme a suo figlio Massimo, ha creato nella cantinola del palazzo in cui abita un piccolo museo dedicato a Diego…
«Ospita tutti i cimeli conservati da mio marito quando era custode al San Paolo: la panchina di Maradona, le scarpette dei Mondiali ‘86, i guanti, le maglie, il pallone del ritiro ufficiale dal calcio nel ’97 e quello del 3-1 con la Juve, il primo contratto con il Napoli. Ma soprattutto le foto che lo ritraggono insieme a noi, come quella del diciottesimo compleanno di mia figlia».
Oggi cosa vorrebbe?
«Che si realizzasse un museo Maradona al San Paolo. Un appello che, insieme alla III municipalità, rivolgo al sindaco di Napoli».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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