NAPOLI – Ma ora è una rumba: perché in quello spazio infinito ch’è il tempo, la memoria danza (o forse galleggia) nel caos. La partita del cuore è un’ora e mezza di tormenti, una dolce e «malinconica» ninnananna, lo stress che consuma e la tensione che alimenta, il passato che torna e che strapazza: si riparte dalla culla, da la «Loggetta» e si procede a tentoni, riguardando se stesso, cioè Paolo Cannavaro, che deambula allo specchio, ora fanciullo e ora uomo, ora ragazzo e poi leader.
Sassuolo-Napoli, mica è calcio: è un romanzo da raccontarsi tra le pieghe (e forse pure la piaga) dei ricordi, in quel concentrato di silenzi sigillato con la ceralacca per non lasciarsi alle spalle un solo rimpianto: «Io sono fatto così, non amo le polemiche». Sassuolo-Napoli o anche Cannavaro che riaffronta Cannavaro, la sua esistenza, la fedeltà, la vita e non semplicemente una scelta per vivere all’ombra della propria bandiera: novanta minuti, che però racchiudono l’adolescenza e la maturità, i sogni d’un fanciullo cresciuto sbirciando il san Paolo da vicino e poi ascoltandone l’eco: «Un capitano, c’è solo un capitano». Sassuolo-Napoli è la cartolina, il desktop del PC, lo schermo in cui proiettare le duecentotrentotto (238, sì) partite in campionato, la favola d’un principe azzurro immerso nella dimensione onirica di Marassi (la promozione in serie A) o dell’Olimpico (la coppa Italia alzata al cielo) oppure le notti della Champions o anche dettagli sfuggiti all’universo.
Sassuolo-Napoli sa di vulcano, un’eruzione potente, sensazioni implose, tenere riletture e (forse) un pizzico d’amarezza d’un uomo solo al comando della propria domenica, sospeso nel vuoto tra il Cannavaro di ieri e il Cannavaro di oggi. Maledetta domenica.
Fonte: Corriere dello Sport
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