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Giuro Giuliani

La storia di Giulio Giuliani su Sky Sport, il portiere azzurro raccontato da Giorgio Porrà

Nella nuova puntata della produzione originale Sky Sport “L’uomo della domenica. Discorso su due piedi”, Giorgio Porrà racconta Giuliano Giuliani. Il portiere più vincente nella storia del Napoli, il primo e unico calciatore italiano sieropositivo, morto di Aids a soli 38 anni. Una storia dimenticata, bollata come scandalosa.
Appuntamento con “L’Uomo della domenica. GIULIANO GIULIANI – PIÙ SOLO DI UN PORTIERE” domani, martedì 9 aprile, alle 19 e alle 23 su Sky Sport Calcio e alle 00.30 su Sky Sport Uno, in streaming su NOW. Disponibile on demand.
Portiere tra i più forti della sua generazione, un uomo la cui tragica parabola svelò i pregiudizi dell’ambiente, subendone le crudeli conseguenze, Giuliani fu il primo, e finora l’unico calciatore italiano riconosciuto sieropositivo. L’Aids lo uccise, a soli 38 anni, nel Novembre ‘96. Ma la sua figurina, nelle coscienze di tanti, di troppi, appariva già sbiadita nelle stagioni in cui affrontava la malattia.

Una storia, la sua, rimasta sommersa e bollata come scandalosa.

I portieri rappresentano per il mondo del calcio una sorta di circolo esclusivo, che oscilla fiero tra splendore e abisso. Una categoria a parte, secondo Dino Zoff, rispetto a tutto il resto dell’universo calcio, che vive di istanti in cui occorre sbagliare il meno possibile. La difesa della porta, come la difesa della propria dignità è una missione sfibrante, che costringe i portieri a carriere, e a volte, anche esistenze, trascorse in solitudine. Come quella, maledetta, di Giuliano Giuliani. Tra i portieri, il più solo di tutti.

Con sensibilità e garbo Giorgio Porrà ne recupera la vicenda umana, già oggetto di approfondimento nell’opera del giornalista e scrittore Paolo Tomaselli, “Giuliano Giuliani, più solo di un portiere” (66THA2ND), e ne traccia il profilo umano e tecnico, segnato da trionfi sportivi oltre che dal suo tragico destino.

La storia.

Giuliani era un portiere freddo, essenziale, affidabile, capace di andare oltre l’errore. Sul piano tecnico aveva senso del tempo e del piazzamento, maestoso nelle uscite, fortissimo con i piedi. Fu l’unico portiere italiano, ai tempi del Verona, ad aver neutralizzato due rigori a Maradona, ma anche quello che da Diego, sempre in maglia Hellas, subì nell’ottobre ‘85, uno dei gol più iconici nella storia della serie A, con l’argentino a colpire quasi da centrocampo, nello stadio che oggi porta il suo nome.

Giuliani e Maradona, caratteri opposti, lontani anche nella gestione delle proprie fragilità, eppure destinati a piacersi, a condividere vacanze, a scoprirsi persino vicini di casa, nello squillante atto finale della maradoneide partenopea, un ciclo magico e irripetibile, che regalò al Napoli il primo successo europeo nella sua storia. Quel trofeo porta l’impronta dei guantoni che Giuliani non tolse neppure durante i festeggiamenti. Un’apparente bella favola, la sua, che si sgretola con la cessione all’Udinese e con l’ombra di Maradona a restare sullo sfondo della sua tribolata avventura, per via dell’ipotesi, plausibile ma mai verificata, del possibile contagio avvenuto in Argentina, durante i festeggiamenti dell’addio al celibato di Diego.

Aids, ai tempi di Magic Johnson e di Giuliani, era acronimo che seminava terrore e alzava barriere nelle relazioni sociali. Era, nel sentire comune, la peste del secolo, il castigo divino che fulminò Freddy Mercury pochi giorni dopo l’annuncio di Magic. L’Aids, allora, nel mondo, aveva già colpito dieci milioni di persone. Era il male che non risparmiava neppure i monumenti dello sport. Anche nei modi più subdoli. Artur Ashe, l’unico tennista di colore a trionfare a Wimbledon, contrasse il virus Hiv per colpa di una sciagurata trasfusione di sangue durante un’operazione al cuore. E subito spiegò: “Non consideratemi una vittima, io sono un messaggero”. Lo era stato nella lotta per i diritti civili, e contro l’apartheid. E sino all’ultimo, prima di cedere alla malattia, nel ’93, a neppure 50 anni, Ashe si impegnò allo spasimo per squarciare l’alone attorno all’Aids, per fare prevenzione sui rischi, per abbattere preconcetti, paure, i tanti tabù sulle dinamiche del contagio.

La solitudine del portiere. Quella vera, oltre la poetica attorno al ruolo. La sua lenta, inesorabile messa al bando. Accade quando Giuliani, sieropositivo, sceglie di continuare a fare il suo lavoro. A fari spenti, distante dalla sovraesposizione di Magic, che nel ’92, l’anno dopo la rivelazione, sarebbe tornato in campo nel Dream Team Usa vittorioso alle Olimpiadi di Barcellona. Quando “Giulio” Giuliani scopre di essere malato, lo confida solo alla moglie Raffaella. Insiste nel difendere i pali dell’Udinese, trovando nel club un solido alleato, ma all’esterno, tutt’altro clima.

Ed è questo, in fondo, il senso, il punto vero della storia, la reazione del calcio, tranne poche eccezioni, davanti al diffondersi delle voci, tra disinformazione, idee distorte e timore condiviso di venire contagiati dal male innominabile.

In pochi anni, dai successi allo sprofondo. Nella percezione di tanti, da stella a possibile untore. Un lento martirio che Giuliani affronta senza mai arretrare. Con silenziosa fierezza. Anche quando capisce che il traguardo si avvicina. Resta se stesso, dritto, calmo, come un tempo sulla linea di porta. A cambiare è solo la sua missione: accompagnare la figlia Gessica a scuola sino all’ultimo dei suoi giorni. Aveva solo 7 anni quando Giuliani si spense nel reparto malattie infettive del Sant’Orsola di Bologna. Fu sempre tenuta all’oscuro delle ragioni della scomparsa del padre, che scoprì da sola casualmente, ormai maggiorenne, con una ricerca su internet.

Giuliani e la cancellazione del ricordo. Un uomo, e il suo vissuto, finiti sottotraccia, come se non fosse mai esistito, o continuasse a minacciare, solo rievocandone la vicenda, gli equilibri del sistema, la sua reputazione. Al punto che diventa legittimo domandarsi: “È ancora così difficile parlare di Aids nel mondo del calcio?”.

Forse Giulio Giuliani non sarà stato un fuoriclasse, seppure col suo Napoli abbia scritto la storia. E l’uomo, come tutti, avrà commesso i suoi sbagli, mai riuscendo a schivare le imboscate del destino. Ma dentro il suo romanzo potente e tragico pulsano mille sacre ragioni per sottrarlo all’oblio. E per restituirgli quel rispetto troppo a lungo colpevolmente negatogli.

Con le testimonianze della figlia di Giuliano, Gessica Giuliani, del suo ex allenatore Ottavio Bianchi, dei calciatori Gianluca Pagliuca, Raffaele Di Fusco, Alessandro Renica, Francesco Romano, dei giornalisti Francesco De Luca e Paolo Tomaselli, autore del libro: “Giuliano Giuliani, più solo di un portiere”.

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