Mauro Berruto, 51 anni, è stato un big dello sport d’élite, prima come ct degli azzurri del volley, poi da direttore tecnico della Nazionale italiana di tiro con l’arco. Ma non ha mai dimenticato lo sport di base, che praticava da ragazzo in Borgo San Paolo a Torino – la sua città, dove vive e insegna presso la Scuola Holden – e che rischia di essere spazzato via dalle conseguenze del Covid. Per questo Berruto ha realizzato un Manifesto dello Sport, nel quale sintetizza le peculiarità dello sport di base e gli interventi necessari per salvarlo. «Non è una serie di richieste o tirate di giacca a qualcuno – precisa Berruto -. Gli sportivi hanno una forma mentis improntata al rigore e al rispetto delle regole, perché sono consapevoli del contesto, di ciò che si può fare e non si può fare. Lo sport sa produrre comportamenti virtuosi». Da orientare in quale direzione? «Il Coronavirus ha messo in crisi i tre capisaldi che finora avevano sorretto lo sport di base: i contributi da parte dei privati, il sostegno da parte delle famiglie dei giovani atleti, l’utilizzo delle strutture che ospitano le attività sportive. Ora però questo modello sta crollando e bisogna ripartire proprio dalla pandemia per pensarne uno nuovo, progettando un futuro diverso». Il documento parte da 5 punti che riassumono i valori, spesso misconosciuti, dello sport: educativi, culturali, storici, economici (come prevenzione di patologie e dunque di spese sanitarie), politici, sociali (anche legati alle disabilità). Quindi propone 13 “azioni” per cambiare rotta. «Bisogna sostenere le famiglie dei ragazzi che fanno sport, le società sportive dilettantistiche e i loro operatori, l’utilizzo delle palestre scolastiche, il recupero delle aree dismesse, l’attività di anziani e soggetti più fragili, gli investimenti dei privati, l’insegnamento nelle scuole, la storia e la cultura dello sport che deve diventare un bene essenziale e fruibile a costi contenuti». Il Manifesto dello Sport ha già ottenuto 10 mila firme, molte delle quali eccellenti, dai calciatori campioni del mondo 1982 ( Paolo Rossi, Cabrini, Bergomi, Tardelli, Bruno Conti…), a numerosi olimpionici azzurri (Berruti, Chechi, Damilano, Simeoni, Dorio, Sensini…) «Ma non è una contrapposizione con lo sport professionistico – conclude Berruto – , se mai la tutela dello sport che ne sta alla base e che rischia di morire».
Fonte: La Stampa.
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