Perché certe domande sorgono spontanee: e ora, appena un anno e mezzo dopo, viene naturale lasciarsi dondolare dall’interrogativo, chiedersi ancora cosa mai stesse succedendo all’epoca e perché mai capitasse proprio a lui? La vita di Fernandez è tutta un terribile, inquietante quiz: e ad un certo punto è divenuta un tormento esistenziale, un tarlo, una prova di (s)fiducia da avviare un giorno sì e l’altro pure. Il titolare della Nazionale argentina – il titolare – e la riserva delle riserve del Napoli, flagellato da quel marchio (quasi) infamante di non saper governare i movimenti della difesa a tre, di dondolare nel nulla, sospeso nel bel mezzo come se fosse una barchetta in balia degli Oceani. Ma va, ci si sarebbe chiesti: eppure, sedici presenze nella sua prima stagione, altre cinque tra la coppa Italia e la Champions, appena il tempo di segnare una doppietta al Bayern Monaco in casa sua, trasformando il 3-0 del primo tempo in un 3-2 onorevole. Poca roba, però. Perché nella sua seconda interpretazione del Fernandez partenopeo, gli è andata persino peggio: appena due gare e poi la cessione in prestito, a gennaio, al Getafe, in Spagna, quattordici partite ed una rete, una rinascita interiore certificata finalmente dal benessere, poi il ritiro di Dimaro e la scoperta.
«ASPETTA». In realtà, la Napoli di Federico Fernandez pareva ormai una cartolina: perché il calcio è impietoso, traccia luoghi comuni, poi li lascia cavalcare. E quel ch’era rimasto, impregnato nella convinzione popolare, poteva non bastare se non avesse provveduto Benitez, all’alba del suo nuovo Napoli, ancor tutto da scoprire, ancor tutto da decifrare, persino per un uomo d’una cultura calcistica universale. «Aspetta, vediamo» . Il Fernandez prima maniera, quello che arriva al suo terzo ritiro d’azzurro vestito, è combattuto, sa che il Getafe vorrebbe tenerlo con sé, sa che in Spagna c’è un mercato e ce n’è uno pure in Germania e forse in Inghilterra; sa anche che ci sono sfide dalle quali non si scappa, mai, soprattutto da quelle con se stesso: e chi è nato in Argentina, che sia Buenos Aires o Patagonia non fa differenza, ha Diego come riferimento e Napoli come epicentro.
LA RISCOSSA. E’ stentato pure quest’altro avvio, sembra il preludio per un arrivederci e forse un addio ed invece, silenziosamente, Fernandez sta studiando Benitez che intanto ha già studiato Fernandez e che contro il Torino, al San Paolo, ed è appena ottobre, avvia la rivoluzione: Albiol scivola sul centro-sinistra, Britos si accomoda in panchina ed il titolare della Nazionale argentina si muove nel cuore della difesa con la disinvoltura che gli è congeniale quando rappresenta la propria Patria ed asseconda Sabella. Perché è vero, diamine, i movimenti della retroguardia a tre sono diversi, ma chi sa giocare a calcio lo sa fare (quasi) sempre: e poi stavolta il Napoli ha una sua linea difensiva diversa, s’aggiunga un posto a Fernandez. FF: cosa l’avrebbero portato a fare, sennò, a Fuorigrotta?
Fonte: Corriere dello Sport
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