Tenetevi forte: le mani che stringono i braccioli della seggiola, un calmante che ballonzola nelle tasche e il cuore che va. Calma e, possibilmente, un po’ di gesso, da passare sulla lavagnetta per aggiornare il risultato, per riscrivere la storia d’una, due, (almeno) otto partite made in Naples. La rivoluzione è fatta, rifatta, strafatta, dal Milan sino al Genoa: tre anni con le mani nei capelli, il cronometro che gira sempre più nervosamente e la gente che dà fuori da matti, perché partite del genere riconciliano con il calcio. La remontada è una specialità della ditta-Mazzarri e comincia con Denis e si chiude con Insigne: e su quella giostra del gol nella quale sono saliti (quasi) tutti, c’è l’essenza d’una filosofia che spinge a crederci sempre a non mollare. Le partite non finiscono mai, solo «quando arbitra fischia» direbbe il leggendario Boskov; e però quelle del Napoli durano un’eternità, scolpite nella memoria di chi le ha vissute, di chi ci ha gioito e però pure di chi ne ha sofferto.
MEMORANDUM – L’inizio della nuova era ha una data, come tutte le passioni brucianti che si rispettano, e il 29 ottobre del 2009, il Napoli si ritrova in una dimensione onirica: il Milan è scappato via in cinque minuti, trascinato da Inzaghi e Pato, mica due soggetti qualsiasi, e ciò che resta d’un match ormai segnato sono i minuti di recupero che il quarto uomo ha appena comunicato. E’ l’ultimissimo respiro d’uno stadio che va svuotandosi (ma che errore…) quando Cigarini, dai venticinque metri, inventa il gol della vita, con una sciabolata che finisce all’incrocio dei pali. Vietato esultare, palla al centro e pedalare e quando Denis, dopo un niente, fa 2-2, vacilla il san Paolo e pure Fuorigrotta, con el tanque che porta con sé un ricordo inestinguibile: «Il boato più forte che ho avvertito nella mia carriera».
BIANCO & NERO – Istruzioni per l’uso: guai allontanarsi dalla vostra postazione. A Torino, per la madre di tutte le partite, almeno si coglie nell’aria che il ribaltone è in atto: 2-0 Juventus in avvio di ripresa, quando entra Datolo (eh sì, Datolo) e trasforma in Evento l’ennesima gara perduta. Un minuto per servire l’assist ad Hamsik, cinque o sei per andare a far da sé il 2-2 e allo scadere, nell’ormai zona-Mazzarri, è 2-3. Ma c’è un campionario ampio così d’emozioni, ci sono nottate passate a rievocarle sull’aereo di ritorno, gare che paiono stregate nelle quali poi piomba puntualmente un dio pagano del calcio, facciamo un nome a caso, Cavani, e consegna un plico per la fantasia: a Bucarest, il Napoli è sotto 3-0 dopo appena un quarto d’ora; sarebbe abbondantemente archiviata quella gara, perché ormai si è arrivati al 50′, quando Sosa, el principito, scova nel proprio repertorio un cucchiaino per el matador, che provvede al pari. E in Olanda, Utrecht, chi se non Cavani può far tornare in mente la volèe di Van Basten nella finale europea alla Russia? E’ Europa League ma pure in quella circostanza, l’uruguayano porta il pallone a casa: da 3-1 a 3-3, con baci lanciati al vento.
IMPRESA – Nell’elenco delle imprese si potrebbe infilare pure il 3-1 al Chelsea, partorito dopo una inevitabile sofferenza: segna Mata, ma è un’illusione, perché ai blues penseranno poi Lavezzi e Cavani. Però quella (paradossalmente) resta un’incompiuta non solo e non tanto per l’eliminazione ai supplementari nel ritorno, ma soprattutto per il salvataggio disperato sulla linea di porta di Ashley Cole, con Cech battuto dal piattone dolce e a colpo sicuro di Maggio.
PARI E’ FATTA – Marassi rappresenta un poster della spregiudicatezza, la sintesi per indurre alla speranza chiunque; e pure il 4-2 su Dnipro: ma il Napoli che non s’arrende è anche quello che a Udine, di ritorno dalla delusione di Londra con il Chelsea, mostra la sua straordinaria capacità interiore, la forza d’animo di chi ha scelto di essere un modello nel suo genere. Quando Cavani va sul dischetto manca un quarto d’ora al novantesimo e Pinzi e Di Natale hanno già fatto il 2-0: si potrebbe riaprire una partita che invece Handanovic sembra blindare con la sua ennesima parata. Un toro ci sarebbe rimasto, mica Cavani: punizione dal limite, poi azione travolgente per il 2-2. Cose da matador.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.