Cinque giorni e poi il Napoli, i suoi grandi campioni e i suoi tifosi appassionati, potrebbero essere colpiti da un’altra profonda ingiustizia. Alla squadra i giudici della Disciplinare hanno tolto due punti e due difensori, Cannavaro e Grava, e giovedì 17 tocca a quelli della Corte federale evitare un altro scempio, che comprometterebbe la regolarità del campionato. Perché il Napoli dovrebbe essere secondo e non terzo, a cinque punti e a non a sette dalla Juve capolista: sempre più in lizza per lo scudetto. Invece, quel -2 è un’offesa per la giustizia e il buonsenso. Situazione più kafkiana di questa non esiste: una squadra e due giocatori puniti per non aver fatto niente, coinvolti dall’ex portiere-scommettitore Gianello in questa storia che farebbe ridere se non fosse drammatica. A Castelvolturno ci sono calciatori stranieri che si chiedono in quale Paese sono capitati e perché da un giorno all’altro, per niente, il Napoli si è trovato più giù in classifica. Ci sono tifosi basiti.
Un pensiero fisso da venticinque giorni accompagna i giocatori del Napoli: vincere per loro, Paolo e Gianluca. Cinque giorni su sei Cannavaro e Grava frequentano il campo e lo spogliatoio dove Mazzarri costruisce i suoi successi. Nel giorno della partita tornano a casa, vittime della sentenza di primo grado della giustizia sportiva. L’azzurro del Napoli è da quel 18 dicembre – il primo verdetto – un azzurro carico di rabbia. La Corte federale ha un’importante opportunità: ristabilire la giustizia, restituendo quanto è stato indebitamente sottratto alla squadra dai giudici della Disciplinare. Il Napoli – una società che si vanta della correttezza dei suoi tesserati e della correttezza dei suoi conti, oltre che dei brillanti risultati in campo – si trova messo così perché nella primavera di tre anni fa (18 maggio 2010) un suo ex calciatore, Gianello, fece una squallida avance a due compagni, Cannavaro e Grava appunto: «Ci sarebbero un po’ di soldi se perdiamo contro la Samp».
Il Napoli perse la partita perché più forti erano le motivazioni degli avversari, a un passo dalla qualificazione in Champions League. Quell’illecito non è stato mai consumato e mai sono circolati soldi tra Gianello e i suoi amici scommettitori. Esiste una fondamentale differenza tra illecito e tentato illecito e non sfugge ad esperti di diritto. Il Napoli ha pagato con il -2 in classifica perché non ha chiesto il patteggiamento in primo grado. E perché avrebbe dovuto ammettere responsabilità, colpe, che non ha? È stato un giudizio paradossale, contestato da autorevoli esperti della materia, super partes, e il club cerca di ribaltare il provvedimento in secondo grado. Non c’è stata una replica vittimistica, anzi Mazzarri e i giocatori hanno avuto una vigorosa reazione alla squalifica, vincendo due partite consecutive e posizionandosi al terzo posto, alle spalle della Lazio che presto finirà sotto processo per il coinvolgimento di Mauri, il suo capitano, nell’inchiesta della Procura di Cremona.
Abete, che lunedì sarà rieletto presidente della Federcalcio (unico candidato), ha ammesso che il codice di giustizia sportiva va riformato. Ma è inaccettabile che vi siano provvedimenti a carico delle società e dei giocatori durante il campionato: questo dovrebbero saperlo inquirenti e giudici della Federcalcio. Rallentare la corsa della squadra è grave ed è clamoroso che il Napoli sia stato giudicato in primo grado a dicembre, esattamente trentuno mesi dopo un illecito fortunatamente mai attuato e rimasto nei tortuosi pensieri di Gianello, che ha detto tutto e negato tutto durante gli interrogatori davanti ai pm della Procura di Napoli e alla Procura federale. Ma che giustizia è questa? E quanti danni economici e tecnici arreca a un club che fattura 150 milioni ed è in corsa per vincere lo scudetto?
Il Napoli va avanti portandosi sulle spalle il peso di un’ingiustizia, come i suoi tifosi, e confida in un ricorso legittimo, fondato sotto l’aspetto giuridico e non soltanto emotivo. «Mi auguro che Dio illumini quei giudici», dice l’avvocato Ruggiero Malagnini, legale di Paolo Cannavaro, il capitano del Napoli che ha seguito l’ultima partita dei suoi compagni nella curva del San Paolo, ricevendo gli incoraggiamenti dei tifosi. Lui e Grava sono stati fermati sei mesi per omessa denuncia: avrebbero dovuto riferire ai loro dirigenti e alla Procura federale l’indecente proposta del compagno. Ma quante cose si dicono negli spogliatoi? Quante ne escono fuori e vengono denunciate? E perché non bisogna credere alla buona fede di Cannavaro e Grava, professionisti esemplari come la loro carriera ampiamente dimostra, in questo calcio che vede ancora tra i suoi protagonisti – legittimamente, fino ad eventuale condanna – Mauri, che ha ricevuto pesanti accuse dai magistrati di Cremona e da quelli svizzeri?
Se non ci fosse buonsenso ad ispirare il verdetto del 17 gennaio, potrebbero non bastare avvocati bravi come Cavani per vincere questa partita che può decidere il campionato, perché 2 punti sono tanti, anche sotto l’aspetto psicologico. Il ricorso degli avvocati Grassani e D’Antonio, docente dell’Università di Fisciano, è basato su incontestabili dati di fatto: non sono circolati soldi su Samp-Napoli e non c’è stato seguito alle chiacchiere di un calciatore che era emarginato dallo spogliatoio, assolutamente non in grado di incidere sui compagni, come ha ricordato il procuratore federale Palazzi, che aveva chiesto il -1 per il Napoli. Ma i giudici della Disciplinare hanno applicato il «tariffario» secondo cui vale il -2 la responsabilità oggettiva, obsoleto pilastro della giustizia sportiva, che ha pochi riscontri in quella ordinaria.
Aspettando la riforma del Codice sportivo, non si può restare a guardare, lasciando che la classifica resti questa e legittimando una palese ingiustizia, con una squadra e una tifoseria che non sanno più in cosa credere e una storia del campionato che rischia di essere rovinata irrimediabilmente. La credibilità del calcio passa attraverso il processo di Roma. Segnatevi la data: giovedì 17 gennaio. Non è importante soltanto per il Napoli.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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