E’ vero. La prima Coppa Italia non si scorda mai. Perché eravamo ragazzi e picchiavamo sulle Olivetti le partite del Napoli. Perché quel Napoli (Pontel, Molino, Gatti, Girardo, Rivellino, Corelli, Mariani, Ronzon, Tomeazzi, Fraschini, Tacchi), che conquistò la Coppa a Roma contro la Spal (21 giugno 1962), fu la prima squadra di petisso Pesaola che ci avrebbe segnato la vita con le sue battute, il whisky, le sigarette e il calcio che raccontava come una favola. Perché, a quei tempi, andavamo su e giù, dalla A alla B, e la Coppa ci apparve un sogno. Il primo trofeo nella storia del Napoli.
Adesso potrete sorriderne, ma il Napoli nella nostra passione e delle nostre cronache non aveva mai vinto niente, neppure ai tempi dello squadrone di Garbutt, neppure quando Lauro comprò Mihalic, Gratton e Pivatelli per vincere lo scudetto e finimmo in serie B, neppure quando avemmo la V2 (Jeppson e Vinicio) e dovevamo spaccare il mondo. Spaccammo appena la Pro Patria (8-1). Avevano raccolto un apprezzabile quarto posto nella stagione 1957-58, quando si giocava ancora al Vomero, e demmo due legnate alla Juventus, in casa e fuori. Vivevamo di questi exploit che “riempivano” una stagione. Si diceva “una partita che vale un campionato”. Gloriose guasconerie contro le formazioni maggiori da camparci un anno intero.
Arrivò il petisso e arrivò l’allegria. Il Napoli era in serie B e se la passava male. L’allenava Fioravante Baldi. Lauro aveva comprato dodici giocatori. Una formazione rivoluzionata perché ne erano partiti altrettanti. A inizio anno, era il 1962, il Napoli aveva 14 punti. Non decollava. Beccò due sconfitte di seguito. Tonino Scotti, capo dei servizi sportivi del “Roma”, andò da Lauro e gli disse: “Perché non proviamo con Pesaola, sta allenando la Scafatese e va molto bene”. Lauro chiamò Pesaola e col suo tono di comando gli disse: “Tu sei l’allenatore”.” Di che?” disse il petisso. “Del Napoli” rispose il Comandante. “Io sono a Scafati” replicò Pesaola. “Hai firmato?” chiese Lauro. “Non ho firmato niente con la Scafatese” rispose Pesaola. “E allora?” fece il Comandante. “Allora niente – disse Pesaola. – Ho dato la mia parola e io mantengo la mia parola”.
Il Napoli era quartultimo. “Non ti preoccupare – disse Lauro. – Parlo io col presidente della Scafatese, Romano”. E parlò con Romano che chiamò il petisso e gli disse: “Allora, Pesaola, le piacerebbe andare al Napoli?”. “Ma io sto qui, alla Scafatese – fu la risposta, – mi sono impegnato con lei e dipende solo da lei”. Lauro richiamò Pesaola che disse al Comandante: “Ho preso sette milioni dal signor Romano e intendo restituirglieli visto che mollo la Scafatese per il Napoli”. Lauro rispose che ci avrebbe pensato lui. Chissà se diede mai i sette milioni a Romano o, più probabilmente, gli promise chissà quanti giocatori del Napoli. Ma Romano era contento di avere fatto un favore al Comandante.
“Mia moglie era felice d’essere tornata a Napoli – racconta Bruno. – Ero contento anch’io. Presi il posto di Baldi alla ventunesima giornata. Parlai ai ragazzi. Ragazzi, gli dissi, rischiate di andare in serie C. Io la carriera di allenatore l’ho appena cominciata e subito la finisco se andiamo in C. Siamo sulla stessa barca. Fu una fatica enorme col Napoli. Uscivo morto dal campo. Morto. Proprio morto. Mi giocavo tutto. Ma riuscimmo a risalire e passammo due turni di Coppa Italia. In Coppa vinciamo due partite fuori casa, contro il Torino con due gol di Gilardoni, contro la Roma con un gol di Corelli. E battiamo il Mantova in semifinale, 2-1, a segno Tomeazzi e Fanello. C’erano buoni giocatori. Ronzon, Fanello, Gatti, Bodi. Feci esordire Rivellino. In porta giocava Pontel. Molino e Mistone erano i terzini. In mediana avevo Girardo, un mastino. Tacchi all’ala sinistra. Ronzon giocava mezzala. Gran giocatore. Era giunto dal Milan. Facemmo centro. Anzi di centri ne facemmo due. Promozione in serie A e Coppa Italia, la prima vinta dal Napoli nella sua storia”.
Quattro giorni dopo la fine del campionato, il Napoli, promosso dalla B, affrontò la finale di Coppa Italia a Roma contro la Spal che giocava in serie A. Aveva eliminato il Verona ai rigori, il Vicenza e il Novara. In semifinale aveva fatto fuori la Juventus battendola a Ferrara per 4-1, due gol di Dell’Omodarme nella porta di Anzolin. Nella Juve giocò Charles, ma non Sivori. La Spal arrivò gasatissima alla finale. Il Napoli andò in vantaggio con Corelli, pareggiò la Spal. Fu più difficile del previsto. Fu la partita in cui Pesaola inventò Ronzon battitore libero. A dieci minuti dalla fine segnò proprio Ronzon. Impresa compiuta. Nessuna squadra di B aveva mai vinto la Coppa Italia, mai una formazione dei “cadetti” l’avrebbe più vinta.
Racconta Bruno: “Tornammo a Napoli in treno. Una folla mai vista ci aspettava alla stazione. Fu un caos indescrivibile. Io non so dirti come mi ritrovai alla Flotta Lauro. Credo di essere svenuto alla stazione. Qualcuno mi caricò su una Cinquecento. Arrivammo da Lauro e il Comandante stava incazzatissimo. Non era più sindaco di Napoli, tradito dai suoi, i famosi sette puttani, come li definì Alberto Giovanini sul ‘Roma’, e il Comandante se ne fregò della Coppa Italia e della promozione. Siamo tornati in A, disse, ma io non compro più nessuno. Andiamo bene, pensai. Ma avevo voluto la bicicletta e dovevo pedalare. Cacciato da giocatore, ripreso da allenatore. Finché non arrivarono Sivori e Altafini. E allora ci siamo diverti. Ma mica sul velluto. La società era un eterno caos”.
La vittoria qualificò il Napoli per la Coppa delle coppe, eliminato nei “quarti” dall’OFK di Belgrado dopo tre partite: 2-0 in Jugoslavia, 3-1 a Napoli, 3-1 per gli slavi nella “bella” di Marsiglia.
Il Napoli tornò a giocare una finale di Coppa dieci anni dopo. Era la squadra con Zoff, Pogliana, Zurlini, Panzanato, Juliano, Sormani, Improta, allenata da Chiappella. Eliminò il Catanzaro, il Verona, il Palermo, il Bologna, la Lazio e la Fiorentina. Avversario finale il Milan il 5 luglio 1972 a Roma. Un autogol di Panzanato spianò la squadra ai rossoneri che raddoppiarono con Rosato e si aggiudicarono la Coppa (2-0). Era il Milan allenato da Rocco con Cudicini, Schnellinger, Rosato, Bigon, Rivera e Prati.
La vittoria di Pesaola rimase unica per 14 anni quando il Napoli, il 29 giugno 1976, sempre a Roma, vinse la sua seconda Coppa Italia. Giocavano in quella squadra, allenata da Vinicio, Carmignani, Bruscolotti, La Palma, Burgnich, Vavassori, Orlandini, Massa, Juliano, Savoldi, Esposito, Braglia. Il Napoli eliminò Cesena, Reggiana, Foggia, Palermo, Fiorentina, Milan, Sampdoria.
Incomprensioni tra Vinicio e Ferlaino indussero il “leone” a rinunciare alla finale di Coppa dopo avere conquistato un buon piazzamento in campionato (quinto posto dietro il Torino di Graziani e Pulici, la Juve, il Milan, l’Inter). Nella finale di Coppa contro il Verona, furono Delfrati, il “secondo” di Vinicio, e Rosario Rivellino, allenatore delle giovanili, a guidare il Napoli.
Gli azzurri trionfarono 4-0. Dopo l’autorete del portiere Ginulfi, segnarono Braglia e due volte Savoldi. Il Napoli si qualificò per la seconda volta in Coppa delle coppe con Pesaola in panchina. Azzurri eliminati in semifinale dall’Anderlecht: 1-0 a Napoli (gol di Bruscolotti), scandaloso arbitraggio a Bruxelles e vittoria dei belgi (2-0).
Quarta finale nel 1978, a Roma, contro l’Inter (29 giugno). Il Napoli, allenato da Gianni Di Marzio, eliminò Catanzaro, Palermo, Vicenza, Avellino, Juventus (5-0), Milan, Taranto. Savoldi segnò 12 gol, quattro alla Juve. Il portiere era Mattolini, lungo e calvo come un frate. Bersellini allenava l’Inter che aveva Altobelli e Muraro in attacco. I nerazzurri vinsero la finale (2-1). Il Napoli andò in vantaggio con Restelli. Poi, Altobelli e Bini firmarono il sorpasso.
E venne l’epoca di Maradona. La Coppa Italia del 1987 fu una cavalcata per il Napoli campione d’Italia, allenato da Ottavio Bianchi. Gli azzurri infilarono tutte vittorie (11) sino alla finale. Segnarono 28 gol subendone appena cinque. Nove gol segnò Giordano, 7 Maradona, 5 Carnevale, 3 Muro, 2 Bagni, uno a testa De Napoli e Caffarelli. La finale fu giocata, contro l’Atalanta, con partita di andata e ritorno (giungo 1987).
Il Napoli proseguì l’irresistibile cavalcata vincendo in casa 3-0 (Renica, Muro e Bagni in gol) e 1-0 a Bergamo (Giordano). L’Atalanta, allenata da Sonetti, aveva in squadra Prandelli, Stromberg, Incocciati. Il Napoli giocò le due finali con Garella, Ferrara, Volpecina (Bigliardi, Bruscolotti), Bagni, Ferrario, Renica (De Napoli), Sola (Muro), Romano, Giordano, Maradona, Carnevale (Caffarelli). Poi, per la prima volta, il Napoli giocò in Coppa dei campioni, eliminato dal Real Madrid al primo turno.
Due anni dopo, la squadra di Maradona fallì la finale (giugno 1989) contro la Sampdoria di Vialli e Mancini, con Pagliuca, Vierchowod, Cerezo, allenatore Boskov. Un mese prima il Napoli aveva vinto la Coppa Uefa. Nei gironi eliminatori, gli azzurri avevano fatto fuori Spezia, Bari, Sambenedettese, Barletta, Bologna, Lecce, Cesena, Modena, Ascoli e Pisa. In finale vinsero all’andata con un gol di Renica (1-0), ma a Genova furono travolti dalla Sampdoria 4-0 (Vialli, Cerezo, Vierchowod, Mancini) che avrebbe vinto lo scudetto nel 1991.
Passarono otto anni per rivedere il Napoli in finale di Coppa Italia (maggio 1997). La squadra, allenata da Gigi Simoni, aveva Taglialatela in porta, tra i difensori Colonnese, Ayala, Baldini, Cruz, Milanese, Crasson, a centrocampo Turrini, Boghossian, Pecchia, Bordin, Longo, Altomare, in attacco Beto, Aglietti, Caccia, Caio, Policano. Eliminò Monza, Pescara, Lazio e Inter e andò alla doppia finale col Vicenza allenato da Guidolin.
L’impresa, in Coppa, fu l’eliminazione dell’Inter di Hodgson in semifinale. Il Napoli pareggiò a Milano 1-1 (Zamorano, Cruz) e vinse al San Paolo ai calci di rigore dopo che la partita s’era fermata ancora sull’1-1 dopo i supplementari (Zanetti, Beto). Dal dischetto sbagliò l’interista Paganin e il Napoli guadagnò la finale.
Eravamo in febbraio. A fine aprile Simoni, attratto dall’Inter, lasciò il Napoli. Mancavano sei giornate alla fine del campionato (+5 sulla zona retrocessione). Bianchi, consulente tecnico di Ferlaino, affidò la squadra a Montefusco, responsabile del settore giovanile. Obiettivo principale: evitare di retrocedere. Ma c’era da giocare anche la doppia finale di Coppa col Vicenza.
All’andata fu 1-0 a Fuorigrotta, gol di Pecchia e palo di Bordin. Il raddoppio avrebbe assicurato un “ritorno” più tranquillo. In campionato il pareggio interno con la Fiorentina 2-2 sanzionò la salvezza matematica degli azzurri. Il Napoli andò un po’ sgonfio al retour-match con i vicentini. Aveva dato molto per salvarsi. Oltretutto mancò Beto, protagonista dell’eliminazione dell’Inter. Reduce dall’operazione al ginocchio, Beto (che Bartolo Mutti aveva definito “il nostro Baggio nero”) rimase in panchina. Dopo un quarto d’ora, Caccia si fece espellere. Segnò Maini e il Napoli resistette fino al 90’. Cedette negli ultimi due minuti dei supplementari (118’ Maurizio Rossi, 120’ Iannuzzi). Si giocò di giovedì (29 maggio 1997). La domenica successiva il Vicenza venne a chiudere il campionato al San Paolo e fu battuto 1-0 da un gol di Beto.
Ed ecco Napoli-Juventus il 20 maggio a Roma, la finale più sontuosa contro una squadra tornata campione d’Italia con la grinta di Conte e che, richiamando Del Piero titolare, vorrà fare il bis in Coppa. E’ tornata la Juventus che vuole vincere tutto.
Fonte: Il Napolista.it
La Redazione
M.V.
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