La norma sui cori da stadio e sulla discriminazione territoriale sta evidentemente creando ripensamenti. Verrà rivista, incidendo sugli effetti che ha generato. Effetti che sono stati vissuti con un senso di “spiazzamento” anche dal Ministero dell’Interno. Vero è che la questione riguarda il mondo del calcio e la sua piena autonomia. Ma ci sale un dubbio: con il fiorire di organismi interistituzionali che hanno nell’Osservatorio il loro compendio, come mai, nessuno ha avvertito la necessità di un confronto con il mondo della sicurezza al momento della stesura delle norma? E il dubbio è reso ancor più lecito dal fatto che poi, per andare alla soluzione del problema così come la stanno pensando, la parcellizzazione dei settori dello stadio – strumento che al calcio serve proprio per non punire indiscriminatamente e al Viminale a controllare meglio – è stata affidata allo studio di un altro organismo interistituzionale, la task force presieduta dal prefetto Panico al Ministero dell’Interno.
LA STERZATA NECESSARIA – In questa vicenda nella quale il Viminale può essere definito spettatore (molto) interessato, ci sono due focus che interessano il mondo della sicurezza. Il primo, di fondo, riguarda il rapporto tra i club e certe frange del tifo, a come questo rapporto secondo gli esperti della sicurezza debba cambiare, rinascere su basi del tutto diverse, esaltando la parte sana del tifo con iniziative dedicate che vadano dalla customer satisfaction, a nuove iniziative sul ticketing, al comfort negli impianti: a tutto ciò che dovrebbe essere affidato al dirigente addetto alle tifoserie tanto caro all’Uefa, che da noi è stato istituito ma che ora andrà riempito di contenuti. E’ quel mutamento profondo di cultura a cui ha fatto appello il vice presidente operativo dell’Osservatorio Roberto Massucci nel convegno sulla violenza negli stadi che si è tenuto presso la Scuola Superiore di Polizia a metà febbraio.
UN DETERRENTE ALLA LEADERHIP – Al Viminale guardano con estrema preoccupazione anche alla riattivazione – mediante la norma sui cori così come è applicata ora – del meccanismo della leadership a cui le frange estreme del tifo sono molto sensibili. Tutto quello alla cui neutralizzazione si era mirato con l’uscita dei tamburi dalle curve, l’istituzione dello striscione autorizzato: la destituzione del sistema capo-gruppo. Nella piena convinzione che quella degli ultrà all’interno degli stadi sia una energia che se convogliata, controllata, può rivelarsi positiva a garantire il colore, il folclore e quant’altro. Diverso è dare agli ultrà la sensazione di poter determinare qualcosa di grande come la chiusura di un intero settore. Con il ritorno mediatico che c’è. E con un fattore comportamentale di rimbalzo per nulla secondario: e cioè l’adesione del tifo sano al pensiero comune secondo cui il provvedimento – a fronte del coro offensivo di pochi – risulti del tutto spropositato. Se ci si pensa è qualcosa che avvicina i tanti appartenenti al tifo sano ai pochi attori del tifo distorto.
IL PERCORSO – Queste le atmosfere che si respirano nelle stanze del Ministero dell’Interno. E l’esempio dell’ultimo turno di campionato, con gli striscioni contro una tragedia come Superga che “pesano” meno dei cori di discriminazione territoriale, suscita ulteriori riflessioni. I correttivi alla norma che il mondo del calcio deciderà di mettere in atto, possono sicuramente lavorare nella direzione auspicata che svuoti di leadership la parte meno sana del tifo; così come anche le attenuanti ai club potrebbero rivelarsi utili. L’allora capo della Polizia Manganelli, era il 2007, spinse molto nel dialogo con i vertici delle varie istituzioni riferite al mondo calcio, verso questa direzione per i provvedimenti che riguardavano l’uso di petardi e bomboni. E se ne videro gli effetti. E’ chiaro, però, che da parte dei club dovranno essere poste in essere iniziative che vadano concretamente nella direzione di un rapporto nuovo, più sano. Perché la risposta porti davvero a poter vivere stadi diversi.
fonte: Corriere dello sport
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