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«La mia folle festa: il gol a Fuorigrotta e l’urlo di Forcella»

Ferlaino racconta: «Lo scudetto risvegliò l’orgoglio napoletano, diventammo finalmente vincenti»

Di quel giorno ricorda tutto. «Mi piacciono tanto le donne, ma tra quella giornata memorabile e una bella signora non avrei dubbi: sceglierei ancora il 10 maggio ’87». Corrado Ferlaino racconta la sua prima volta. «Il giorno dello scudetto era un giorno che sembrava non potesse arrivare mai, come se il Napoli fosse condannato a un infame destino: nel ’75 e nell’81 eravamo arrivati a un passo dal sogno e poi era sfumato».

Come fu la domenica dello scudetto di Ferlaino?
«Sveglia alle 7 con un pensiero, quel tormento: e se non ce la facciamo? Andai a Soccavo e pranzai con i giocatori. Erano silenziosi, tuttavia le loro espressioni mi rassicuravano a poche ore dalla partita contro la Fiorentina».
Lei assisteva a un tempo delle partite.
«Avrei voluto farlo anche quella domenica e infatti alla fine del primo tempo scesi nel garage dello stadio. Ma tornai su, andai nei Distinti per seguire la ripresa. Ero tesissimo, i tifosi mi incoraggiavano: ingegnere, tranquillo, vinciamo, guardi sul tabellone gli altri risultati… Sì, allora il tabellone c’era al San Paolo».
Come festeggiò il tifoso Ferlaino?
«Girai in auto con il direttore del Mattino, Pasquale Nonno, e notai le differenze. La festa di Chiaia non fu quella di Forcella, dove emerse l’orgoglio: noi napoletani finalmente davanti a tutti. Capii quella notte che Napoli ha tante anime quanti i suoi quartieri».
Lo scudetto doveva essere il primo e l’ultimo per lei.
«Avevo deciso che avrei lasciato il Napoli dopo aver vinto. Ma c’era la prima Coppa dei Campioni da affrontare, non potevo andare via».
Maradona, il suo capitano.
«Fu anima e spirito di quello scudetto. Era un vincente e grazie a lui fummo in grado di conquistare quei successi».
E Bianchi?
«Razionalizzò l’estro e la pazzia dei napoletani, ecco perché un anno dopo Maradona e gli altri giocatori lo rifiutarono, ma noi dirigenti lo difendemmo».
La sorpresa?
«Romano, il regista, l’uomo d’ordine alla Pirlo. In autunno alcuni giornali scrivevano che al Napoli mancava un calciatore così, credevo che sbagliassero. Marino prese Romano per poco o niente: fu decisivo. A volte i giornalisti hanno ragione».
C’erano tanti napoletani nel Napoli.
«Ragazzi del nostro vivaio: Ferrara, Volpecina, Caffarelli, Di Fusco… Il Napoli utilizzava le strutture di Soccavo e Marianella per allontanare i ragazzi dalla strada e riuscimmo a portarne tanti anche in serie A».
Quale fu la vittoria chiave del campionato?
«Contro la Juve, sul suo campo. Dopo il gol di Laudrup i nostri si scatenarono: si scrollarono di dosso le paure, diventarono colossi e vinsero. Vi fu anche un gol in fuorigioco, quello di Volpecina: ma Agnolin aveva qualcosa da farsi perdonare, era stato l’arbitro della partita vinta dalla Juve per 6-2 al San Paolo anni prima».
Quello scudetto aprì un ciclo?
«No, lo chiuse. Avremmo potuto ripeterci nel successivo campionato, però non vi riuscimmo nonostante uno straordinario girone d’andata. Nell’88 perdemmo per la stanchezza psicologica o per le tensioni esplose nello spogliatoio: non l’ho capito, non l’ho mai voluto capire. Due anni dopo ci rifacemmo: il Milan aveva cinque punti di vantaggio, ma vincemmo noi».
Ha conservato una foto o una maglia di quel 10 maggio ’87?
«No, niente. Ho i ricordi che mi fanno compagnia ogni giorno».
Com’erano Napoli e il Napoli un quarto di secolo fa?
«Oggi la città è ferita a morte, nell’87 aveva sei ministri e noi ci illudemmo di aiutarla a crescere con quella vittoria che ci spinse più su di Juve e Milan, le superpotenze. Ma i numeri erano i numeri: 20 miliardi in lire in incassi e 35 spesi soltanto per gli stipendi dei calciatori. Le cifre del Napoli oggi sono altre: 150 milioni di fatturato, 300 miliardi di lire».
Ci sono calciatori di questo Napoli che avrebbe potuto giocare in quello di Maradona?
«Hamsik, Cavani, Lavezzi e Maggio. Ma era un altro calcio: 16 giocatori bastavano per un campionato, oggi ne occorrono 25».
Domenica 20 c’è la finale di Coppa Italia Juve-Napoli: Ferlaino sarà a Roma?
«De Laurentiis mi invita allo stadio ma io non vado mai: dovrei farmi venire l’infarto dopo trentatre anni? A De Laurentiis auguro di vivere giornate memorabili come quella dell’87. Magari tra qualche giorno a Roma, la sua città».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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