Il sospetto, certificato da pubbliche ammissioni, quasi quasi diviene certezza a Plzen, mentre fuori è meno dieci e dentro di sé Mazzarri è un vulcano che implode, con pensieri sparsi che affollano la mente e interrogativi che s’accavallano nell’aria gelida d’una notte da cani: la seconda (bruciante) sconfitta contro avversari dignitosi alimenta un’analisi a tutto campo, tra le linee e le diagonali, dall’alto (dell’area di rigore altrui) al basso (della propria linea difensiva). In pillole: perché rinunciare al sistema di gioco che si sa fare (e molto bene) per rincorrere un’utopia? Gli allenatori sono uomini terribilmente soli, seduti su scanni disagevoli, aggrappati a convinzioni talvolta ferree, talaltra elastiche: poi c’è Mazzarri, che non ha mai fatto mistero di avere elevata considerazione in se stesso, e che pure nella tormenta (psicologica) d’una eliminazione frustrante attraverso uno 0-5 complessivo, sottolinea la fiducia nel proprio sistema di lavoro, anzi nella propria figura: «E’ la conferma che in questi tre anni abbiamo fatto forse addirittura meglio di quanto potessimo attraverso un modulo diverso da quello utilizzato in queste ultime tre-quattro gare». Il Napoli ha valori nei singoli, nel progetto che vive ormai da un decennio di vita e che nel quadriennio in corsa sono stati comunque ulteriormente sviluppati – con le due qualificazioni in Europa League, quella in Champions, la coppa Italia e questo secondo posto – spostando l’ego della bilancia in panchina.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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