La parola Ciro, a notte fonda, è un urlo di dolore e una tenue speranza. Sono le 23.30 quando il ragazzo viene trasferito da un ospedale all’altro, con una pallottola ancora infilata nella schiena, mentre il papà fuma nervosamente sbirciando al di là della tendina che lo separa dalla lettiga e dagli sportelli dell’ambulanza. Si respira una calma che squarcia il cuore. Arrivano più di cento tifosi del Napoli, tenuti a distanza da un robusto cordone di polizia, con due camionette e diverse volanti. Vogliono manifestare sostegno, anche se la finale di Coppa Italia non è finita, e restano buoni buoni. Chissenefrega della partita, chissenefrega della Coppa Italia, dentro a quell’ospedale c’è uno di loro. «La situazione non è buona» racconta lo zio, un uomo minuto e stempiato, mentre guarda in basso e scuote la testa. Ciro Esposito, 30 anni, ha resistito all’operazione che ha contenuto l’emorragia a un polmone, grazie all’intervento dei medici del pronto soccorso del San Pietro, sarebbe tornato sotto i ferri una seconda volta in serata, ma dev’essere spostato al Gemelli, dove esistono strutture all’avanguardia nel settore neurochirurgico, circondato dall’affetto di familiari e amici che lo hanno raggiunto in fretta e furia quando hanno saputo dell’incidente.
La situazione. Ciro sta male, malissimo. «Le sue condizioni sono stabili, ma critiche» spiegano i medici. Un bollettino poco incoraggiante. E’ in coma farmacologico dopo il colpo di arma da fuoco che lo ha colpito «da breve distanza» secondo quanto raccontano fonti investigative. Codice rosso, cioè imminente pericolo di vita. La pallottola ha perforato il polmone destro e si è conficcata nell’area di una vertebra dorsale. Non è stato possibile estrarla, almeno per il momento. Si sarebbe rischiato di danneggiare ulteriormente la colonna. In ogni caso i chirurghi temono che la lesione possa essere permanente. E questo è di per sé terribile. Se riuscirà a cavarsela, Ciro dovrà andare incontro a una lunga rieducazione e potrebbe non camminare più.
Disperazione. Era arrivato per la partita in macchina partendo da Secondigliano, il suo quartiere, in compagnia del cugino, che in ospedale non si dà pace. E’ stato lui ad accompagnarlo in ambulanza al pronto soccorso, sulla Cassia, non lontano dal luogo dell’incidente. E’ sotto choc, cammina avanti e indietro, tiene in mano il suo cellulare e anche quello di Ciro per comunicare con parenti e amici a Napoli. «Io non c’ero, non ho visto niente perché ero una decina di metri più avanti» grida, nascosto da un cappellino del Barcellona. Ma poi al padre, lo zio di Ciro, racconterà una storia diversa: «Ci hanno aspettati, è stato un agguato. Poi ci sono stati i colpi di pistola e Ciro è caduto. Lo hanno operato d’urgenza» . Evitando così di perderlo perché al momento dell’ingresso in sala operatoria il cuore del ferito si era fermato.
Attesa. I soccorsi sono stati tempestivi. Lo sparo è stato collocato intorno alle 18.25, l’ambulanza è arrivata in pochi minuti. E per evitare il traffico dell’avvicinamento allo stadio Olimpico, ha imboccato contromano il viale di Tor Di Quinto, dove la tragedia si è consumata, e in tempi relativamente rapidi ha raggiunto l’ospedale San Pietro. A pochi metri dagli scontri c’è una caserma dei carabinieri che un tempo si chiamava Maestrelli, sede del campo di allenamento della Lazio. E sullo stesso asfalto, giusto dall’altra parte della strada, avvenne il delitto di Giovanna Reggiani, stuprata e uccisa a 47 anni da un balordo nel 2007. Un crimine urbano, un po’ come ieri pomeriggio.
Gli altri. Sempre al San Pietro è stato ricoverato Alfonso Esposito, 43 anni, amico e omonimo di Ciro. Non preoccupa, nonostante ferite di arma da fuoco a una mano e un braccio. Ci sono altri otto feriti sparsi per gli ospedali di Roma, fortunatamente non gravi, medicati dopo lunghe ore di assurda guerriglia. Intanto dentro alla sala d’attesa del pronto soccorso scorrono le immagini Rai della finale di Coppa Italia, con la festa dei napoletani. Ma non è di alcun conforto, se Ciro non può guardare: è impegnato a lottare contro una pallottola.
Fonte: Corriere dello Sport
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