Bello e fragile, bravo e incostante. Per tutti era «Nino», non Gaetano Musella, un ragazzo nato difronte alla curva B del San Paolo, dove si dilettava a dribblare i coetanei come birilli nelle partite organizzate sull’asfalto del piazzale Gabriele D’Annunzio. E a dodici anni era diventato già il trascinatore della Real Cumana, la regina dei tornei da strada. Baricentro basso, slalom nel dna, fiuto del gol e punizioni disegnate fin da piccolo con parabole imprendibili.
DALLA STRADA AL NAPOLI – Poi un compagno lo spinse a sostenere un provino per il Napoli e da quel giorno «Nino il bello» divenne subito un fantasista prezioso quanto elegante nel suo incedere dalla trequarti in su. Innamorato del pallone a tal punto che Giovanni Lambiase, il guru delle giovanili azzurre negli anni 70, lo impiegò per un po’ da terzino perché non facesse lo spavaldo in attacco e imparasse a soffrire nella marcatura dell’avversario.
TUTTE PAZZE DI LUI – Musella, però, era corteggiatissimo dalle ragazzine dell’epoca. Giocava a calcio e usciva la sera per dedicarsi alle sue spasimanti. Fece tutta la trafila nelle giovanili del Napoli fino a vincere lo scudetto Primavera sotto la guida di Mariolino Corso. Finché, nel 1978, un altro napoletano come lui, nato poco più in là, nel quartiere di Mergellina, lo lasciò debuttare in serie A a 18 anni, Milan-Napoli 0-1, gol di Savoldi su rigore. Era il Napoli di Bruscolotti, Juliano, Massa. Lo stesso anno Di Marzio aveva lanciato anche Moreno Ferrario.
L’anno dopo, il talentuoso Musella venne spedito a Padova in serie C per «farsi le ossa». Poi tornò e giocò quattro campionati in maglia azzurra collezionando 8 gol in 72 presenze. Lui stesso un giorno ebbe a dire: «Sinceramente non ho saputo gestire i momenti più importanti della mia carriera». E oggi, anche quelli della vita.
Nel 1980-81 giocò l’intera stagione e firmò il gol dell’ 1-0 a Firenze dove il Napoli non vinceva da dieci anni. Mise a segno anche la rete della vittoria esterna sul Torino. Fu il campionato in cui il Napoli arrivò vicinissimo alla vittoria del primo scudetto con Marchesi in panchina, Castellini tra i pali, Krol in difesa ed Antonio Iuliano dietro la scrivania con qualifica di direttore generale.
Il gioellino di Fuorigrotta aveva i numeri del campione ma non la costanza. L’anno dopo realizzò un gol fantastico all’Inter pur marcato in maniera ferrea da Burgnich. Sembrava fosse arrivato il momento della consacrazione ma fu ceduto al Catanzaro e la bella favola del talento di Piazzale D’Annunzio cominciò a svanire quando aveva ancora 22 anni. Una favola incompiuta perché poi iniziò un lento declino: Bologna, Nocerina, Ischia, Palermo, Empoli, Juve Stabia e Latina nel ’95-96 dove smise, tra i Dilettanti. Scarna anche la carriera di allenatore. prevalentemente in Campania (Sangiuseppese, Puteolana, Sorrento, Casertana, Ercolenese e Sanremese in C2 dove allenò il figlio Alessandro) e in Molise (Isernia e Campobasso). Per i tifosi era semplicemente «Nino», il campione mancato.
Fonte: Corriere dello Sport.
La Redazione.
D.G.
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