Interessante intervista a Franck Kessiè, pubblicata sull’edizione odierna della Gazzetta dello Sport.
Intanto, riconoscimento. Come si pronuncia il cognome?
«Kessì, con l’accento sulla ì».
Mai sentito parlare nello spogliatoio di fantacalcio?
«Sì, più o meno: quel gioco in cui si fa una squadra e…».
Ecco, quello. L’Italia del fantacalcio si chiede: che succederà al prossimo rigore?
«No no, io non calcio più. Lo lascio al Papu o a Paloschi. Lui è un attaccante, ha bisogno di segnare per sbloccarsi».
Quindi, senza rigori, quanti gol?
«Altri 4, vorrei segnarne 8. Se arrivo a 15-20 meglio, ma il mio numero è 8».
Quell’esultanza da soldato che significa?
«Papà era un calciatore, giocava davanti alla difesa nella Serie A della Costa d’Avorio. Poi è diventato un militare, non è andato in guerra però è morto di malattia quando io avevo 11 anni. Per questo faccio il gesto del militare: è per lui».
E il resto della famiglia?
«Tre fratelli e tre sorelle. Io ero il più piccolo e giocavo tutto il tempo a calcio. Quando avevo 10 anni, mia mamma mi ha portato alla scuola calcio: dovevo andare da Ouragahio ad Abidjan, tre ore e mezzo solo andata ogni volta. Ora con lei vive la mia fidanzata, che ha 22 anni. Però non so se ci sposiamo, è presto».
Com’è stato arrivare in Italia?
«Freddo. La prima volta che sono uscito dall’aeroporto, volevo riprendere l’aereo. Quando mi hanno mandato al Cesena, un anno fa, ero il quinto difensore centrale».
Poi Drago ha trovato un posto a centrocampo e…
«E ora voglio giocare lì. Anche Foschi mi è stato vicino: quando ho preso casa, non c’era niente: tv, lenzuola, altro. Sono tornato alla sera ed era ok: mi aveva preso tutto lui».
È vero che Kessie era quasi della Juve?
«Dopo il Mondiale Under 17 del 2013 mi voleva, anche se io non avevo ancora 18 anni. Da piccolo però guardavo soprattutto il Milan. Che giocatore era Shevchenko…».
Si è parlato anche della Roma.
«No, Roma no: non so niente. In estate ero vicino al Sunderland, questo è vero. Poi ho scelto l’Italia, per la tattica».
Non è possibile.
«Sì, mi piace. La tattica è importante: se capisci dove arriva la palla, il resto è facile. È vero anche che Yaya Touré ha parlato di me al City. Dopo l’Italia vorrei andare in Inghilterra ma tra un po’, non ora».
Ora c’è Gasperini. Come va?
«Bene, a parte le multe: 120 euro per due ritardi a pranzo. Il mister dice sempre che se perdiamo palla e abbassiamo la testa, ci sostituisce: dobbiamo andare subito ad aggredire».
Facile: Kessie corre almeno 11 chilometri ogni partita. C’è qualcuno che corre di più?
«Forse sì, Badu dell’Udinese».
E in Costa d’Avorio, chi sono i prossimi fenomeni?
«Bailly, il difensore del Manchester United, e Aurier, terzino del Psg. Poi, forse, Max Gradel del Bournemouth».
Un’ultima cosa. Domenica il team manager al 65’ ha alzato per sbaglio il numero 19 al momento del cambio. Si dice che Kessie abbia fatto finta di non vedere, ma sarà sicuramente falso.
«No no, verissimo. Dovevamo vincere e io, di sicuro, non volevo uscire»
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