Ai microfoni di DAZN ha parlato così la stella della Juventus Cristiano Ronaldo. Ecco le sue parole:
Cristiano o CR7?
“Per me non cambia. A casa mia mi chiamano Ronaldo, a scuola mi chiamavano Cristiano, nel calcio Cris, Ronny e così via. Mi chiamo CR7 fuori, i tifosi mi chiamano CR7”.
CR7 è un brand globale, che opera in 200 Paesi diversi: come ti fa sentire?
“Il mio mondo è il calcio, ma per me è importante anche il mondo fuori dal calcio. Sono diventato un uomo d’affari, è normale creare qualcosa di diverso. Io sono contento così, certamente è una cosa importante ma per me ora è importante il calcio soprattutto”.
Come si passa da CR7 brand a persona?
“Per me esiste un solo Cristiano, penso di essere sempre lo stesso. Sono due aspetti diversi, ma uniti. Sono un giocatore di calcio, mi piace quando le persone mi guardano e pensano Cristiano è questo. Mi piace come sono”.
Quanto è difficile fare gol in Italia da 1 a 10?
“Sette”.
Quali sono i difensori più forti che hai affrontato?
“Onestamente per me i più difficili da affrontare sono i giocatori con cui mi alleno: Bonucci, Chiellini e De Ligt. Prima era stato Chiellini, perché ci ho giocato contro qualche volta in Champions ed era una sfida personale. Devo dire loro tre perché mi alleno con loro tutti i giorni”.
Come valuti il cibo italiano da 1 a 10?
“Mi piace molto, dell’Italia non mi piace solo il cibo ma in generale la cultura italiana”.
Qual è la grossa differenza tra Serie A e Champions League?
“È completamente diverso, anche nella testa è diverso. Penso che la Champions sia la miglior competizione del mondo, tralasciando Europei e Mondiale con le nazionali. Amo giocarla più di qualsiasi altra competizione. è speciale. Il giocatore più forte in Serie A? Per ora sono io, l’anno prossimo non lo so. Ci sono tanti giocatori bravi e sono contento che mi abbiano votato come miglior calciatore della passata stagione. Spero di ripetermi”.
Cosa ti piace della Juve?
“Mi piace tutto della Juve. C’è una buona cultura, è il miglior club in Italia, ha una storia straordinaria. Sono felice qui, ovviamente voglio vincere molti trofei con la Juve. Non mi piace solo la Juventus, ma la cultura italiana”.
Qual è il tuo primo ricordo in Italia?
“Mi ricordo la presentazione allo Stadium, è stato bello. Ero con lì con la mia famiglia, i miei amici, ma anche il presidente e il club. Ho visto lo stadio da una prospettiva diversa”.
Sedici anni fa sei arrivato al Manchester United, che si innamorò di te dopo un’amichevole con lo Sporting.
“Mi ricordo che disputai una grande partita. Ero molto emozionato, giocavo contro uno dei club più importanti del mondo. Prima della sfida scherzavo con il mio migliore amico, gli dissi Magari mi prenderanno. Dopo la partita Ferguson mi disse Dovresti venire da noi. A 18 anni ero tanto felice. Ferguson mi ha voluto lì: quando andai a vedere le strutture, fu lui a dirmi che avrei dovuto cominciare la settimana successiva. Così chiamai mia madre per dare l’annuncio, me lo ricordo come se fosse ieri. Un bel momento”.
Sei cambiato da allora?
“È diverso da allora. Quando inizi a giocare a calcio vedi tutto in maniera diversa. Sei più spensierato. Ho sempre le stesse motivazioni ma vedo tutto in maniera diversa. La priorità è vincere trofei, giocare bene, a 18 anni pensi solo a divertirti. Dopo i 20 anni arrivano le responsabilità. La motivazione però è la stessa, sono felice e motivato, ho voglia di giocare ancora per qualche anno”.
Come è nata la tua esultanza?
“Ho iniziato a dirlo quand’ero al Real Madrid. Quando vincevamo tutti dicevano Siuuu’. Ho iniziato a dirlo, non so bene perché. Mi è venuto naturale. Mi ricordo il precampionato a Los Angeles: giocammo contro il Chelsea, io segnai un gol e feci questo (mima il gesto dell’esultanza, ndr). La gente mi chiese perché lo avessi fatto, ma non ne avevo idea. Lo feci, mi girai con naturalezza, perché dico sempre che le cose migliori accadono in maniera naturale”.
Chi ti ha trasmesso di più tra i tuoi allenatori? Pensi di poter allenare un giorno?
“Non sarei corretto se nominassi solo uno. Sono stati tutti importanti per me, ognuno mi ha insegnato qualcosa. Non credo che vorrei fare l’allenatore, almeno oggi penso questo. Nella mia testa non mi vedo come allenatore. Sarei sicuramente più un motivatore: devo pensare al meglio per la squadra e trasferire la mia personalità, quello che mi piace”.
Il tuo gol più bello?
“A Buffon, un gol molto speciale, in uno stadio bellissimo e contro una grande squadra. Il pubblico mi applaudì, una notte davvero speciale. Cosa mi ha detto Buffon? Quando mi è capitato di parlare con lui, ho sempre pensato di trovarmi di fronte una brava persona. Un ragazzo simpatico, allegro. Dopo il gol si è semplicemente congratulato, è stato carino. Me lo ricordo molto bene, ho sempre avuto una percezione di lui come bravo ragazzo, cosa che poi ho potuto constatare con i miei occhi”.
La vittoria più importante?
“Il trofeo più importante della mia carriera. Ho riso, ho pianto, mi sono ubriacato dopo la partita. Ero disidratato per avere pianto troppo e dopo un bicchiere di champagne ero ubriaco. Di solito non bevo ma quell’occasione era speciale”.
Com’è il rapporto rapporto con tua mamma?
“Siamo legati, è felice quando suo figlio vince qualcosa. È una persona solare, mi segue sempre ed è contenta. In passato mi ha messo un po’ di pressione, era ansiosa: quando ero in Spagna voleva che segnassi sempre. Adesso si preoccupa più di come sto e della famiglia”.
Ti diverti ancora?
“Certo, giocare a calcio è quello che amo fare. Mantenermi in forma è importante. Se non ti diverti e non sei felice, è dura lavorare. Spero sempre che tutti abbiano la fortuna di fare quello che vogliono, io vengo addirittura pagato per fare la cosa che amo. Certo, ci sono alti e bassi, la gente ti critica ma fa parte del gioco. Devi restare positivo: io so chi sono, so quello che faccio e so che alla fine tutti mi dicono bravo”.
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