Intervenuto alla trasmissione polacca Prosto w Szczenę il difensore della Juventus Giorgio Chiellini ha trattato di diversi temi. Ecco le sue parole:
SUL NOME DI SZCZESNY – “Ho imparato a scriverlo, all’inizio con tutte quelle lettere, la zeta… (ride, ndr)”.
SUGLI INIZI – “Non è stata una scelta, il calcio è la mia passione e ho iniziato a giocare quando avevo cinque anni. Sono stato fortunato, perché ho avuto la possibilità di farlo, è stato un lungo viaggio, ho iniziato a capire che potevo diventare un professionista all’età di 15-16 anni, sono cresciuto e sono migliorato anno dopo anno. Mio padre giocava a calcio, non a livello professionistico ma giocava per passione nei weekend, con gli amici”.
SUL PARAGONE TRA SZCZESNY E BUFFON – “Tutti i portieri sono diversi, in alcune caratteristiche Gigi è unico e Wojciech è differente. Ma la cosa particolare è che all’inizio, quando vedevo Tek come avversario, era sempre serio, non parlava molto. Siamo andati a cena insieme la prima settimana dopo il suo arrivo a Torino ed era un’altra persona, chiacchierava e sorrideva sempre”.
SULL’AGGRESSIVITÀ IN CAMPO – “In campo mi trasformo? Devo farlo, è naturale. E adesso sono molto più calmo di quando ero giovane”.
SUGLI AVVERSARI – “Ne ho molti: Higuain, Icardi, Dzeko… Devo trovare un ‘nemico’ in ogni partita, per un difensore la sfida contro l’attaccante è fondamentale”.
SU BUFFON – “Cannavaro ha detto che Gigi urla di continuo durante le partite? In Nazionale era peggio che alla Juve. Non so perché, ma con l’Italia è sempre più teso. Abbiamo bisogno di un giocatore alle nostre spalle che ci aiuta così, il portiere non è importante soltanto per le parate, ma anche per le parole”.
SUL RAPPORTO TRA DIFENSORE E PORTIERE – “A volte è impossibile bloccare ogni tiro degli avversari, devi pensare da difensore a come puoi aiutare il portiere con la tua posizione. Questo deriva dall’esperienza e dal dialogo con il portiere. Riguardo sempre le partite e studio come prevenire le situazioni di pericolo, ogni errore che faccio è una lezione per me”.
SULLE PAROLE DI MOURINHO – “Io ad Harvard? Sì, mi piacerebbe andarci, ma per un master in economia, non per tenere una lezione di difesa (ride, ndr)”.
SULLA LEADERSHIP – “È qualcosa di naturale. Lippi mi disse una cosa importante, che i fuoriclasse sono quelli che aiutano i compagni a innalzare il proprio livello. Credo sia vero, anche guardando ai vari Cannavaro, Pirlo e Buffon. Cannavaro era un difensore fantastico, uno dei migliori nell’uno contro uno nel nostro ruolo. Pirlo era un mago, con gli occhi dietro la testa. Buffon è uno dei migliori portieri della storia. Ma il segreto della loro carriera è stato sempre nell’aiutare i compagni e le rispettive squadre”.
SUI MODELLI – “La cosa più difficile quando sei giovane è capire chi devi seguire. Io sono cresciuto nel Livorno, a 15 anni ero in prima squadra e giocavo con gente che aveva vent’anni più di me. Potevo essere loro figlio! Però ho cercato di prendere i migliori esempi, imparare qualcosa da ognuno dei miei compagni e allenatori”.
SULLA FRASE CONTRO IL GUARDIOLISMO – “Ho usato la parola guardiolismo perché ha cambiato il modo di intendere il calcio. Penso che sia importante mantenere qualcosa della nostra identità, siamo italiani, non spagnoli. Possiamo e dobbiamo migliorare, perché il calcio non è rimasto a 30 anni fa, però al contempo dobbiamo mantenere le nostre caratteristiche. Da cinque/dieci anni in Italia non abbiamo difensori di livello internazionale, non è normale. Certo, dobbiamo imparare dai migliori allenatori, però al contempo è importante mantenere le nostre qualità. Prima vedevi i difensori italiani come Gentile, Scirea, Bergomi, Baresi, Maldini, Costacurta, Cannavaro, Nesta, Materazzi… e adesso arrivi alla mia generazione, ci sono Barzagli e Chiellini, Bonucci di 3 anni più giovane, e poi quasi dieci anni di niente. Ci sono Romagnoli, Rugani, Caldara che però sono nati nel ’94-’95”.
SULLA BBC – “Il nostro segreto è l’essere complementari. Adesso giochiamo di meno, ma quando giocavamo nella difesa a tre eravamo perfetti, o comunque vicini alla perfezione. Non solo vincevamo, ma lo facevamo muovendoci nella maniera ideale, io non avevo bisogno di vedere Leo o Andrea, sapevo tutto di loro, le loro migliori qualità e i loro punti deboli”.
SUL RAPPORTO CON SUAREZ – “Il morso? Non ero arrabbiato per quello, ma per il mancato cartellino rosso, perché era un match importante e senza Suarez non penso che l’Uruguay avrebbe vinto quella partita”.
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