Via la tuta, via la maglia, l’ordine è di rimanere in mutande, senza portare addosso quei colori macchiati da pesanti sconfitte sul campo. Una punizione firmata clan D’Alessandro e imposta ad alcuni giocatori della Juve Stabia addirittura dall’ex direttore generale della squadra. E non c’è solo quel raid nel bus societario. No, qui la storia della punizione del boss tifoso è lunga e amara. Tanto che in alcune sedute di allenamento, il clan impose un arredo cimiteriale sulle panchine del club, con tanto di manifesti mortuari dedicati ai singoli calciatori e macabri lumi sempre accesi a ricordare i propositi di vendetta del boss. Calcio e camorra, c’è un punto fermo nell’inchiesta della Dda di Napoli, che chiama in causa dirigenti ed ex posizioni di vertice della società stabiese: ci sono venti avvisi di chiusa inchiesta (l’atto che in genere precede una richiesta di processo) notificati, tra gli altri, anche a Roberto Amodio, ex direttore generale Juve Stabia, ritenuto responsabile di aver imposto un diktat criminale negli spogliatoi della squadra che dirigeva.
Per lui accuse di violenza privata aggravata dal metodo mafioso, ma anche la presunta adesione alla logica firmata clan D’Alessandro. Inchiesta a una svolta, un’ipotesi di frode sportiva viene invece contestata all’attuale presidente stabiese Francesco Manniello, ritenuto responsabile di frode sportiva, tra i presunti registi dell’ormai famigerata combine di Juve Stabia Sorrento (1-0) del cinque aprile del 2009, vicenda per la quale sono indagati anche i calciatori Cristian Biancone e Vitangelo Spadavecchia.
Uno spaccato complesso, a leggere le conclusioni dell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo e dal pm Pierpaolo Filippelli, che punta ad accertare la longa manus dei D’Alessandro, per anni rappresentata dal presunto reggente Paolo Carolei, nel sistema negli affari societari e per l’affaire calcioscommesse. Si parte dall’ex dirigente Intralot Maurizio Lopez, per il quale il gip ha di recente respinto l’arresto: difeso dal penalista Alberto Tortolano, l’ex manager è atteso domani dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli, dove la Procura di Napoli punta ad ottenere arresti e sequestri. Diversi i punti battuti in questi anni dai carabinieri del nucleo investigativo del Gruppo di Torre Annunziata agli ordini del comandante Alessandro Amadei. Scommesse, puntate clandestine, riciclaggio, gogna pubblica firmata camorra, quali sono i punti che chiamano in causa i manager stabiesi? Siamo tra il 29 e il 30 marzo del 2009, dopo l’ennesima sconfitta della Juve Stabia, il clan impone una rappresaglia contro alcuni giocatori di ritorno da una trasferta. Bus fermato, assalto di tifosi travisati, schiaffi, sputi e colpi di cinghia. Poi l’ordine: giocatori in mutande, per aver disonorato la squadra che faceva capo ai D’Alessandro e l’obbligo di allenarsi con lumicini funebri e manifesti mortuari piazzati sulle panchine del campo. Un’azione ideata e organizzata anche dal dirigente Roberto Amodio – scrivono gli inquirenti – per il quale la Procura domani chiederà l’arresto al Riesame, dopo aver incassato un primo rigetto da parte del gip. Assieme al presidente Manniello, invece Amodio deve difendersi per la combine del 5 aprile del 2009 (Juve Stabia-Sorrento, 1-0): 50mila euro a Biancone e Spadavecchia, per truccare il match di Lega pro e far lievitare gli incassi nel circuito delle scommesse legali.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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