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Juliano: “Insigne è super, diverso da Lavezzi ma è un talento puro”

L'ex centrocampista azzurra punta alle due vittoria sul Bologna per chiudere al meglio il 2012

Un nome una storia. Anzi, come si diceva una volta: una bandiera Antonio Juliano, capitano azzurro d’altri tempi e inossidabile specchio di volontà e carattere. Oltre che, si capisce, testimone e ambasciatore orgoglioso d’un calcio elegante e intelligente. Insomma, dici Napoli e non puoi non pensare a lui, che quella maglia, dopo ventidue anni da calciatore e due esperienze da dirigente, l’ha avuta sempre attaccata addosso. Tranne una volta. Tranne che per una stagione, quando, nel 1978, lasciato il Napoli se ne andò a Bologna.

Ma perché? Perché carissimo Juliano, voltò le spalle al Napoli e andò via?
«Eh no. Calma. Le cose non andarono proprio in questo modo».

Bene, trentaquattro anni 
dopo si può sapere come andò? 

“Era la terzultima partita di campionato. Eravamo in corsa per la qualificazione Uefa, giocammo in casa contro il Lanerossi Vicenza e perdemmo 4 a 1. A fine partita piombò Ferlaino nello spogliatoio e ordinò un ritiro immediato per la squadra».
Un ritiro punitivo.
«Ovvio. Ma io mi rifiutai. A 35 anni non mi andava d’essere messo in castigo, faccia al muro e dissi al presidente che potevo chiudere la mia carriera anche in quel momento».

Ma non fu così.
«No. Furono giorni intensi e altri dirigenti mi convinsero a finire la stagione. Del resto, mancavano solo due partite e c’era da conquistare quel posto per l’Europa. Giusto, dunque, che giocassi. Infatti, andai in campo, pareggiammo tutte e due le gare e andammo in Coppa Uefa. A quel punto ribadii la mia intenzione di smetterla col calcio».

Anche stavolta, però…
«Non andò così. Ero in vacanza a Punta Ala quando mi telefonò Gianni Di Marzio, a quel tempo allenatore azzurro. Mi disse: vieni in Sardegna, ti devo parlare. Ci andai, discutemmo molto e alla fine mi convinse a giocare ancora. Tutto ciò mentre a Napoli, a casa mia, arrivava un telegramma di convocazione in società? Che cosa volevano? Volevano comunicarmi che per me non c’era più posto in squadra e che mi offrivano la responsabilità del settore giovanile. Incredibile: quando io non volevo più giocare loro mi avevano convinto a non lasciare; poi, quando avevo deciso di giocare ancora, loro avevano deciso di non farmi più giocare».

E allora?
«Allora dissi basta e me andai al Bologna. Ma lo feci soprattutto per orgoglio. Mi avevano ferito e quella fu la mia risposta. Però, fui chiaro col presidente Conti: una stagione e poi me ne torno a casa. E fu così nonostante la bellezza della città e l’accoglienza dei bolognesi che ricordo sempre con affetto. Ecco, questa è la storia vera».

Da allora nel Napoli un altro Antonio Juliano non c’è stato. Oppure sì?
«Ci sono stati tanti buoni centrocampisti, ma tutti con caratteristiche diverse. Sa cos’è: per me quello è un ruolo che si interpreta bene solo se a certe qualità tecniche si accoppiano carattere, carisma, personalità».

Chiarissimo. Intanto, questo

«Questa squadra mi piace moltissimo Anche la difesa è un buon reparto forte e organizzato»

Napoli le piace?
«Mi piace? Mi piace tantissimo, anche se ha un po’ cambiato pelle. Mi piace, certo, ma devo essere sincero: mi mancano quelle ripartenze furiose e spettacolari che mi hanno emozionato. Una caratteristica che negli ultimi tempi il Napoli ha smarrito».

Beh, l’ha detto lei: andato via Lavezzi il Napoli ha cambiato pelle.
«Ed è stato un gran peccato. Però detto questo, devo pure dire che il lavoro di Mazzarri è stato eccezionale. E’ soprattutto grazie a lui che questa squadra è cresciuta e migliorata».

Vuol dire che se il Napoli perdesse Mazzarri sarebbe un bel problema?
«Questo nessuno lo può dire. All’inizio probabilmente sì, la squadra potrebbe avere delle difficoltà. Poi, magari, con un nuovo allenatore potrebbe fare pure meglio. Ma con questo non scopro proprio niente».

Fu proprio lei che nel ‘98 portò Mazzarri a Napoli per la prima volta…
«Presi Ulivieri come allenatore e Mazzarri faceva parte del suo staff. Poi è andato per la sua strada ed è cresciuto molto. Ma di questo non mi meraviglio: viene dalla scuola di Ulivieri che del nostro calcio è un caposcuola».

Buona scuola deve aver avuto anche Lorenzo Insigne, non le pare?
«Lui ha doti naturali eccezionali. Non è Lavezzi, è diverso, ma è un talento vero. Però, per favore, non carichiamolo di responsabilità e di attese: se c’è un modo per fargli del male è proprio questo».

C’è chi sostiene che ha fatto male a tornare a Napoli. Che qui per lui sarà tutto più complicato, che sarà trattato sempre come un ragazzo della Primavera, mentre se fosse andato altrove avrebbe fatto in fretta la carriera di campione.
«Per me, è ovvio, ha fatto bene a tornare a casa. Deve solo sapere che Napoli dai suoi figli pretende sempre assai di più. Deve sapere che rispetto a qualsivoglia altro giocatore, lui dovrà sgobbare il doppio per essere apprezzato. E’ il nostro destino di napoletani a Napoli».

Napoli-Bologna. Due volte l’uno contro l’altro in quattro giorni. Lei punterebbe più sul campionato o sulla coppa Italia?
«Niente calcoli. Il Napoli deve vincere tutte e due le volte. Perché se da una parte deve rispettare ed onorare il ruolo di detentore della Coppa, dall’altro non deve rinunciare a puntare in alto, molto in alto, in campionato. Il Napoli non sta lassù per grazia ricevuta. Ci sta perché lo sta meritando. Grazie a Cavani, certo, ma non solo. Anzi mi va di spendere una parola per la difesa azzurra spesso bistrattata: credevo non reggesse il paragone con gli altri reparti della squadra, invece mi sono ricreduto: da un po’ la trovo veramente forte e organizzata». 

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

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