Il primo Napoli di Mazzarri non si scorda mai, soprattutto andando a rileggerlo: De Sanctis; Campagnaro, Cannavaro, Contini; Maggio, Hamsik, Gargano, Datolo, Aronica; Lavezzi, Quagliarella. In quattro anni (quasi) tutto cambia, tranne i tre quarti d’una difesa «legittimamente» ereditata e poi modellata a propria immagine e somiglianza, cercando (vanamente) un mancino naturale per abbinarlo ad Aronica, girando l’Europa e poi il Sud America per privare a scovare un talento in prospettiva, sperando in un colpo di teatro (l’improbabile, impossibile top player) che conducesse sino ad Ivanovic, il soggetto dei desideri. Il Napoli di Mazzari ha codici chiarissimi, che resistono nel tempo, che richiedono un centrale di destro sufficientemente agile, che si concentrano sulla solidità e sulla autorevolezza di Cannavaro per fronteggiare gli assalti centrali e che però ha prodotto una ricerca disperata d’un sinistro naturale – magari in grado di impostare – rimasta inevasa: in principio fu Victor Ruiz, otto milioni all’Espanyol che restano spesso in panchina, in un processo di maturazione che non si evolve mai, che anzi finisce per rimanere impaludato nelle perplessità e che però vengono rivalutati dal Valencia, innamorato del languido spagnolo sino al punto di pagarlo nove milioni.
Poi è arrivato Britos, sfortunatissimo e però anche sorprendentemente a disagio nelle rare interpretazioni del ruolo, affiancato nel last minute dell’estate del 2011 dalla meteora argentina Fideleff, sovrastato nelle gerarchie dall’immarcescibile Aronica, depotenziato da una serie di infortuni. Il piano originario, per dare consistenza tecnica al settore, prevedeva Criscito, utilizzabile tanto da esterno quanto da difensore: fu una trattativa lampo, durò quasi un niente, si infranse su logiche contrattuali ritenute inaccettabili dal Napoli. Il difensore ideale per Mazzarri resta Ivanovic: inavvicinabile un dì ma anche in futuro. E intanto Campagnaro va per i trentatré e Cannavaro per i trentadue…
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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