Vladimir Petkovic è un signor allenatore. Ha solo sbagliato a intraprendere un viaggio nel calcio italiano senza dare prima una rinfrescata al suo bagaglio culturale. Rinfrescata? Meglio dire un passo indietro alla riscoperta del catenaccio – e del suo frutto più nobile: il contropiede – che proprio mentre era in Svizzera poteva studiare, visto che proprio lì fu inventato, settant’anni fa, da un austriaco chiamato Rappan; l’inghippo tattico, infatti, fu chiamato “verroux”. Già gli era capitato l’incidente con il Genoa, autore di una fulminante rapina all’Olimpico dopo gli inutili dieci-quasigol-dieci sprecati dalla Lazio. Mi aspettavo minor sicumera e più saggezza tattica al San Paolo, ma no, è andata anche peggio: tre gol e porta a casa. Dice Petkovic che il gol-di-mano di Klose è stato l’attizzatore del fuoco azzurro; penso il contrario: la facilità con cui la Lazio è arrivata davanti a De Sanctis due volte in due minuti ha convinto la Banda Petkovic d’essere in grado di vincere, anzi stravincere. Quindi tutti avanti, disperatamente, ché prima o poi il gol arriva. I pifferi di Roma arrivarono per suonare. E furono suonati. E per fortuna ne hanno presi solo tre, poteva essere goleada e allora sentivi Lotito strillare come un’aquila (a proposito: come sta Olimpia?). C’è chi, oggi, per comodità o superficialità, rivede il precedente giudizio tecnico (ottimo) sulla Lazio dopo che Cavani l’ha selvaggiamente perforata. Io penso, invece, che la partita – oltrecché divertire – abbia avuto il merito di rivelare appieno la statura di questo Napoli che il precampionato ha designato “anti-Juve” per puro dispetto, rifacendosi alla rissa di Pechino. Il Napoli in realtà è talmente completo, quadrato, solido e “formato” che qualcuno potrebbe definire la Juve la squadra “anti-Napoli”. Oso dirlo perché i suoi Tre Tenori (Hamsik-Pandev-Cavani, con Insigne e Vargas aggiunti) costituiscono una forza offensiva superiore a quella della Juve: cede lo scettro, piuttosto, il Napoli, a Pirlo e compagni, a un centrocampo che tuttavia rischia di crollare se non si trova un Bonini per sollevare il geniale ex milanista dalle pene inflittegli da mediocri operai o dal divin giovane Oscar che a Stamford Bridge lo ha affondato. Colpisce soprattutto, nella squadra di Mazzarri, l’ulteriore crescita di un gruppo che già un anno fa era generoso e compatto, a prova di Champions, e tuttavia fu ferito da un insano turnover: quest’anno ci sono due squadre, una per il campionato e una per la coppa, con interventi dei big quando necessario. Una saggia distribuzione di pesi fisici e psicologici (Mazzarri è l’unica alternativa nazionale a Mourinho) porta in evidenza anche altri dettagli significativi: il Napoli è la squadra che soffre meno infortuni – segno che lavora bene – e quella che accusa meno scandali, nonostante il calor bianco della piazza. Dico questo perché conosco bene Fatti & Personaggi della saga napoletana e mi pare di cogliere segnali solo positivi fin dalle quotidiane opere di Castelvolturno. I Tre Tenori evocano anche un equilibrio musicale espresso da un gruppo di talentuosi pedatori di grido affiancati da modesti ma qualificati mandolinisti. Tutto per dirvi che il Napoli è una grande orchestra diretta da una bacchetta magica.
Fonte: Avvenire.it
La Redazione
M.V.
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