Prima di dire – singhiozzando – “zero tituli” c’è la Coppa Italia. E un posto già garantito in Europa League. Poco davvero per consolarsi, rispetto alle legittime attese. E al momento di chiudere, pur con una onorevole vittoria, il Napoli può dare inizio alla lamentosa analisi del tempo e delle occasioni perdute. Nel finale – solo nel finale – ha fatto del suo meglio ma non è riuscito ad approfittare del naturale appannamento dell’Udinese, riapparsa a Catania più bella e più forte di prima, e dello spreco della Lazio, per dire che è aperta anche una gara fra Reja e Mazzarri – guarda un po’ – per vedere chi ha buttato via più punti. Fermo restando che a Reja sono mancati per lunga pezza gli uomini migliori. Mazzarri li ha quasi sempre avuti e non ha saputo farne tesoro, soprattutto nella prima parte del campionato. Al Napoli sarebbero bastati i punti regalati al Chievo, al Novara, al Genoa – tanto per dire – per conquistare il terzo posto nell’Europa che conta, e non sono state disgrazie, disavventure da destinaccio infame, ma incertezze, scelte sbagliate a negarglielo. E adesso c’è da fare il punto senza isterìa, con tutta la calma e la razionalità possibile, soprattutto nell’ora dedicata al rinnovamento del gruppo azzurro. De Laurentiis avrà voglia di darsi a slanci (economici) generosi? In un momento così delicato avrà davvero seguito la chiacchieratissima cessione di Lavezzi, ieri in campo con tanta anima da pensare o a una gran voglia di restare come a un onorevole saluto ai chi lo ha amato? E Cavani, si adatterà il fuoriclasse consumato e stanco all’idea di rinunciare alla Champions? Ma soprattutto: Mazzarri ha davvero voglia di restare. A me sembra ancora l’unica guida possibile, solo Conte e Guidolin han fatto meglio di lui, stabilendo tuttavia che lo juventino ha realizzato un capolavoro iniziando il campionato-scudetto con una formazione tecnicamente inferiore al Napoli. Ma l’amaro Walter potrebbe rivelare all’improvviso inattese idee di fuga. Le ore che verranno saranno decisive per il Napoli. Al quale direi di far presto a portarsi a casa Insigne e di partecipare subito alla riffa per avere Verratti, il miglior cervello in attività, dopo Pirlo. Alle ultime battute, tutto secondo pronostico: lo “scudetto di riserva” – l’estenuante gara a quattro per un posto nei preliminari di Champions – l’ha vinto chi doveva, chi lo meritava: l’Udinese, domatrice del furioso Catania di Montella. Quanti annunci di battaglia da Lazio, Napoli e Inter, e invece il pugno da kappaò l’ha sferrato Totò Di Natale, il bomber di livello europeo che ha il solo difetto di essere italiano, per nulla affamato (perché s’accontenta del bene che ha, dunque non avida dollars) eppoi negato all’esibizionismo di categoria, al narcisismo che da sempre contraddistingue i goleador. Per la felicità (o la ratio) di Prandelli, va precisato che Totò s’è liberato anche di quella malcelata abulìa che lo rese incerto e poco significativo protagonista dell’Europeo 2008:. È diventato l’Uomo delle Meraviglie. Conto su di lui per rivivere all’Est le indimenticabili ore di Europa ’68. Chiude, il campionato, anche in coda, con il successo del Genoa – direi del saggio, silente e operoso Gigi De Canio – che con lo spunto vincente del consumato Gila ha raddrizzato mille errori di vertice. Spiace l’addio alla A del Lecce, del grande Serse che ha animato per settimane la più ingarbugliata (e onesta) zona retrocessione che si ricordi. Cosmi vorrebbe restare alla guida di quella truppa rivitalizzata: come negarglielo? Il discorso vale anche per Reja: la sua Lazio ha sprecato il capitale che non aveva. Il Vecchio del campionato va in Europa League dopo aver battuto il giovanissimo Stramaccioni che ha un’Inter senza tituli e tutta da rifare. Il lungo addio a Del Piero, al suo amico/compagno/rivale Pippo Inzaghi, a “Ringhio” Gattuso, all’Angelo dai Piedi Duri Nesta, all’ubiquo Zambrotta, al ferreo Di Vaio – con tante lacrime fra i protagonisti e gli spettatori allo Juve Stadium, a San Siro e al Tardini – ha restituito al campionato un’immagine umana, bella, positiva, commovente, emozionante: ieri è stata diabolicamente invitante l’offerta di assistere in diretta anche alle conclusioni del campionato inglese: e Roberto Mancini, profeta del resuscitato City, è entrato di forza nelle pagine del romanzo nostrano. Poche note – doverose – sugli addii più significativi, a Torino e a Milano. Ho visto Andrea Agnelli applaudire commosso (?) Del Piero durante il pas d’adieu affrontato con la grazia sensibile di una ballerina scaligera; con lui, le ricchedonne di Casa Agnelli, da sempre (calcisticamente) innamorate di Alex. E allora, perché l’hanno liquidato. Costava troppo? Pensava troppo? Pesava troppo rispetto al peso di famiglia? A Milano, invece, tutto regolare: se ne sono andati i Terribili Vecchietti che tanto hanno dato nel recente passato, molto hanno tolto nell’ultima stagione. Ho capito, a suo tempo, il disappunto dei milanisti per la sparizione di Paolo Maldini, un Del Piero forte e fiero poco portato alla commozione: i ragazzi che se ne vanno ora hanno scritto storie bellissime, e tali resteranno. Ma il presente. Mi torna in mente una battutaccia di Brera quando suggerì all’Inter di liberarsi del suo divino mancino: «Corso – scrisse – participio passato del verbo correre». Molti “via col vento”. E domani, naturalmente, è un altro giorno.
Fonte: Il Roma.net
La Redazione
M.V.
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