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Italia-Spagna -Tra calcio, tennis, basket e ciclismo è sempre grande sfida

L’asturiano Alonso "comune denominatore": unisce i due Paesi nel nome della rossa Ferrari

«Los italianos palpan» diceva Antonio Diaz Miguel, coach della Spagna di basket, in uno di quei rari momenti nei quali anche la pallacanestro azzurra era a tavola con i grandi del mondo. Lo diceva inquieto e beffardo: gli italiani palpano, alludendo al gioco aggressivo, ad allungare le mani, dei nostri lungagnoni. Era uno dei tanti momenti di rivalità sportiva fra l’Italia e la Spagna, di quelle che si accendono d’improvviso, sull’erba o sul parquet, in acqua o in pedana. O sull’asfalto. Perché, a lungo termine, i numeri sono dalla parte italiana, almeno a guardare le cifre olimpiche: 191 ori, 157 argenti e 174 bronzi per gli azzurri d’estate e uno score di 37-32-37 per quelli d’inverno; gli spagnoli, che sì hanno partecipato a un minor numero di Giochi Olimpici ma la differenza non giustifica il distacco (25 a 20, e 21 a 18 rispettivamente), possono mettere in campo un 34-49-30 d’estate e un miserrimo 1-0-1 d’inverno.
Però, sarà per la latinità, ma lo scontro sportivo spesso s’incendia e ci infiamma. Come il 9 agosto del 1992, alla Piscina Picornell, Barcellona olimpica, collina del Montjuich: era la finale olimpica della pallanuoto e la Spagna tutta, capitanata da Manuel Estiarte, e con in campo pur se non in acqua il Re e gli arbitri, si aspettava l’oro. E invece a 32 secondi dalla fine, al sesto tempo supplementare dopo che quattro di questi erano passati senza reti e uno solo con l’1 a 1, Gandolfi inventò il colpo del 9-8. E l’oro fu azzurro, il Settebello bellissimo. Erano i tempi di Ratko Rudic e Sandro Campagna portava la calottina: ora ha sostituito il Maestro in panchina.
Certo di sfide ce ne furono prima e dopo, su tutti i territori dello sport. Sono da ricordare gli incontri tennistici che ebbero come protagonisti prima Nicola Pietrangeli e Manuel Santana, poi Adriano Panatta e Manuel Orantes, con alterne vicende quando anche noi avevamo qualche Nadal da mandare in campo, che adesso ce l’hanno soltanto loro: il terreno preferito da tutti era la terra rossa; oppure le battaglie ad altissima velocità sui moto-circuiti di tutto il mondo, ultimi i Lorenzo e i Pedrosa, ma qui non c’è match se si trascura per un momento la lentezza della Ducati di stagione e ci si ricorda del Valentino Rossi che ha messo in riga ogni concorrente nel corso dell’ultimo decennio.
E nel ciclismo, se negli Anni Trenta, quando l’Italia comandava con i Binda e i Guerra, gli spagnoli non potevano mettere in strada che Vicente Trueba, detto la Pulce dei Pirenei, e dopo, con Coppi e Bartali (e Magni) avevano tutt’al più Bahamontes, e poi le volate di Miguel Poblet, è stato nelle stagioni più recenti che la Spagna ha messo le ali (e qualcosa d’altro, stando alle inchieste più o meno recenti) ai pedali, sciorinando una serie di campioni che vanno dall’inarrivabile Indurain fino al pizzicato di fresco Contador. Però belle soddisfazioni iridate e olimpiche ce le siamo tolte anche noi, basti citare Paolo Bettini. C’è stato pure un momento di rivalità nella pallavolo: è stato breve, e la Spagna aveva come tecnico Andrea Anastasi, italiano, ct prima e dopo degli azzurri.
Ma certo è il calcio il massimo che c’è: le statistiche non vanno in campo, ma le emozioni sì. E nella globalizzazione dello sport l’osmosi tra la Liga e il Campionato è forte, calciatori e allenatori vanno e vengono, i match di Champions sono trascinanti e le due Nazionali hanno creato una rivalità che se non è ancora quella caparbia con la Germania o ideologica con l’Inghilterra (ma le filosofie si sono rovesciate), è però la rivalità dei nostri tempi. Non solo per il cazzotto rifilato da Tassotti e Luis Enrique a Usa ’94, né per tutti i precedenti dai Giochi di Anversa in poi. Ma proprio perché è la più postmoderna: due squadre che tendono a somigliarsi e ad imporsi l’una sull’altra con gli stessi mezzi. Però c’è uno sport nel quale siamo tutti insieme: lo sport che ha il motore della Ferrari e la guida di Fernando Alonso. Lì «la roja», la Rossa, siamo noi. Ma altrove teniamoci il cuore azzurro. E «los italianos» non «palpan» più: adesso giocano a viso aperto. Il catenaccio è parola d’altra lingua.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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