Se leggiamo le formazioni di Spagna e Italia, il pensiero che possa finire «tanti a pochi» si affaccia con chiarezza. Anche se Del Bosque, con quella faccia gioviale che lo fa somigliare al vostro salumiere di fiducia, scopre un’improvvisa carenza di attaccanti che trasformino in qualcosa di concreto il conclamato possesso di palla, la differenza tecnica e qualitativa è troppo marcata per non orientare il pronostico. E infatti i signori allibratori, che non possono permettersi un altro errore marchiano come quello di sottovalutare la Russia, non offrono più di 1,60 per la vittoria delle cosiddette furie rosse.
Eppure non è solo la rotondità del pallone a regalare qualche speranza a Prandelli. È la storia del calcio a raccontarci che gli spagnoli hanno sempre sofferto di una specie di complesso italiano vincendo spesso nelle amichevoli che non contano niente e pagando dazio quando invece c’è in palio qualcosa di importante. Il primo esempio si perde nella notte dei tempi: il 31 maggio del 1934 si gioca in Italia la seconda edizione dei mondiali, con la coppa intitolata a Jules Rimet. Tra azzurri e spagnoli a Firenze finisce 1-1 grazie alle parate sensazionali di Ricardo Zamora, leggendario portiere catalano. Allora non esisteva la lotteria dei rigori, ma la ripetizione della partita. Il giorno dopo con grande stupore di tutti gli osservatori, Zamora non si presenta al bis per via di un infortunio piuttosto misterioso e insolito per un tipo che cinque anni prima aveva giocato contro l’Inghilterra nonostante si fosse rotto lo sterno. Il gol lampo di Meazza chiude i giochi in favore dell’Italia di Pozzo che alla fine conquisterà la coppa.
Passano 60 anni prima di un’altra sfida «dentro o fuori». Mondiale negli Stati Uniti, quarti di finale: l’Italia di Sacchi elimina la Spagna nella partita passata alla storia anche per il famoso cazzotto di Tassotti che spacca il naso a Luis Enrique. Un episodio che al di là del contesto in cui si verifica, alimenta la rivalità tra le due più grandi scuole latine del calcio. Gli spagnoli restano convinti di essere quelli che privilegiano lo spettacolo e il gioco d’attacco in evidente contrasto con il catenaccio degli italiani. Un confronto a tutto campo che spazia perfino nella politica fiscale: i calciatori che giocano nel campionato spagnolo, al pari di tutti gli artisti, pagano tasse più leggere dei comuni cittadini europei.
Gli scambi culturali, per così dire, sono anche per questo molto limitati. Solo due allenatori spagnoli sono assunti in Italia, curiosamente sempre nella Roma: si chiamano Mirò e Luis Enrique e onestamente non lasciano tracce indelebili del loro passaggio. Arriva poi il momento della politica quando Zapatero sostiene che la Nazionale contribuirà con le sue vittorie ad aumentare il Pil del Paese. Il 22 giugno del 2008 la Spagna riesce finalmente ad abbattere il tabù negli Europei austrosvizzeri che poi vincerà. Ma per eliminare l’Italia, sfavorita dal pronostico, deve aspettare i rigori. Il Pil, nel frattempo non è aumentato, lo spread incalza ma Spagna e Italia in questa seconda domenica di giugno non si occupano di banche, almeno per un’ora e mezzo.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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