Dalla stagione 2010-11, quando un’italiana (l’Inter) giocò la Champions da campione d’Europa, alla finale di Lisbona del prossimo 24 maggio, si giocheranno 116 partite a eliminazione diretta, vale dire 16 gare di ottavi, 8 dei quarti, 4 semifinali e una finale di Champions League. Di queste 116 partite le italiane ne hanno giocate appena 24, con un decrescendo poco rossiniano: 8 nella stagione 10-11 e in quella successiva, 6 nel 12-13, 2 (con doppia sconfitta) quest’anno. Senza pesi sul cuore (il peso del tifoso), tutti gli anni, di martedì e di mercoledì, ci mettiamo davanti alla tv e ammiriamo dei capolavori che non appartengono più alle nostre gallerie d’arte. La Champions ci manca da morire, possiamo godere solo delle virtù altrui, del Chelsea, del Borussia Dortmund, del Real Madrid. Anche martedì sera, un altro spettacolo. Mourinho che rimonta ed elimina il Psg, il Borussia di Klopp che fa tremare il grande Real, gol, azioni spettacolari, tensione ai massimi livelli. Ormai guardiamo queste partite quasi con rassegnazione, come chi ama il basket guarda la Nba, tanto è un’altra cosa, un altro sport. Ma il calcio italiano è stato per anni, per decenni, anzi, per mezzo secolo protagonista in Coppa dei Campioni. Già alla seconda edizione (anno 1957) avevamo la Fiorentina di Julinho e Montuori in finale al Chamartin contro il Real Madrid di Di Stefano e la perdemmo per un rigore che ancora oggi fa imbestialire Ardico Magnini, il terzino della Fiorentina più forte di sempre. L’anno dopo, sempre contro il Real, in finale c’era il Milan di Liedholm e Schiaffino. Abbiamo cominciato a vincerla nel ‘63 a Londra, Milan-Benfica 2-1. Abbiamo passato momenti di oscurità, ma mai così lunghi e mai così oscuri.
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