Abbiamo un altro primato, questo però faremmo meglio a nasconderlo in tasca, vicino al biglietto usato della metro e agli spicci. Nell’Europa che cerca di soffocare le braci putride del razzismo, l’Italia (del calcio) riesce ad essere testa di serie fra i campionati di maggior impatto nel Vecchio Continente quanto ai casi di discriminazione. Compresa quella territoriale. Siamo – ahinoi – i primi, nonostante la nostra normativa, quanto a fattispecie specifiche, sia la più completa, la più ampia, la più particolareggiata. Ma poi spunta sempre fuori chi si lamenta, chi cerca la scorciatoia e trova terreno fertile nel Paese dove il cambio in corsa delle regole è sport nazionale riconosciuto. E allora siamo punto e a capo, la pena inflessibile si piega sulle ginocchia, ci ritroviamo ostaggi degli ultrà che apposta gridano e invocano vulcani spenti da anni ma non morti (e proprio per questo potenzialmente letali, altro che sfottò), per un patto tutt’altro che tacito che vuole azzerare il calcio.
ALTRO CHE CURVE – Dall’inizio dell’anno, appena dodici giornate già in archivio, abbiamo (e avremo) già sette curve chiuse. Nessuna in Francia, nessuna in Germania, nessuna in Inghilterra, nessuna in Spagna. Ma non perché lì la giustizia (sportiva e non) non funzioni. Nei nostri confini, hanno cominciato a pagare la Roma (per un debito pregresso, quei cori contro Balotelli in Milan-Roma dello scorso campionato, che portarono l’arbitro Rocchi a sospendere la partita, caso unico visto che pochi giorni fa il suo collega Hategan, in Cska-City se n’è ben guardato dal farlo), la Lazio (per i cori contro i “colored” nella Supercoppa contro la Juventus) e poi l’Inter, il Milan e per ultima la Juventus, due settori chiusi contro l’Udinese e uno contro il Sassuolo. Non solo, ma abbiamo già contratto pegni: quattro club (Torino, Milan, Inter e Roma) sono sotto sospensiva. Alla prossima, si chiude e non per una sola volta, ne hai uno, ne paghi due.
SOTTO OSSERVAZIONE – La Uefa ci osserva, lo sguardo non è benevolo. A fine ottobre si è riunito il Fair Play and Social Responsibility Committee, il comitato che si occupa (anche) della questione più scottante. Un summit programmato per fare il punto della situazione sulla questione del razzismo, dopo il giro di vite che proprio Michel Platini ha voluto nel 2012 e che è entrato in vigore dallo scorso primo luglio. Le determinazioni ancora non sono note. Ma di sicuro il nostro presente non ci fa fare una grande figura. E poi – sicuramente è un caso – in quel panel, presieduto dallo svizzero Peter Gilliéron, non figura nemmeno un italiano….
L’Uefa sta facendo uno sforzo nel senso dell’anti-razzismo. “No to Racism” vale molto più di uno slogan e di quel gagliardetto che passa di mano in mano fra i calciatori prima delle gare delle competizioni del vecchio continente. L’articolo 14 del Codice di disciplina è severo, da lì ha origine anche il nostro articolo 11. Il senso della regola Uefa è: «Non offendere la dignità umana». Colore della pelle, etnia, religione, razza. Da noi, perché sulla carta non ci siamo voluti far mancare nulla, anche quella dignità che deriva dal posto dove sei nato e dove vivi. Però le parole le porta via il vento, i fatti restano. L’Uefa prevede dieci gare di squalifica per i giocatori, la chiusura dei settori dello stadio responsabili. Non ci sono deroghe, non ci sono cambi in corsa. Nel resto d’Europa, la piaga l’hanno se non proprio risolta, quantomeno arginata. Da noi, no. Purtroppo….. Chissà cosa vorranno dire i club al ministro dell’Interno Alfano se, come da qualche parte è trapelato, lunedì prossimo dovesse fare un passaggio in Lega. Speriamo di non depenalizzare.
Fonte: Corriere dello Sport
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